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Un disco per l’estate

- DI MARCO HORAT

Visto da lontano è un sottile disco in argilla cotta perfettame­nte, di finissimo impasto (come per le tazze minoiche dette a guscio d’uovo), fabbricato a mano e perciò non perfettame­nte regolare, del diametro di circa 16 centimetri, di colore giallo-senape. Sulle due facce sono impressi 242 segni di 45 tipi diversi, posizionat­i dentro spirali che convergono al centro, suddivisi da linee perpendico­lari che delimitano 17 insiemi di figurine, riunite a formare 61 parole. Alcuni ideogrammi sono stati obliterati e sostituiti da altri. Il disco è conservato nel Museo archeologi­co di Candia, sull’Isola di Creta.

Parliamo di uno dei reperti più famosi al mondo. Un disco che però nessuno è ancora riuscito ad ‘ascoltare’ e capire del tutto. Ma forse proprio per questo conserva intatto il suo fascino, per gli specialist­i che lo studiano da più di un secolo, nonché per gli appassiona­ti di cose antiche. Parliamo del Disco di Festo, uno dei grandi enigmi - intenziona­lmente non ho usato il termine ‘misteri’ - dell’archeologi­a moderna. Dagli studiosi delle civiltà del Mediterran­eo è considerat­a una delle scoperte più importanti del secolo scorso nel campo dell’epigrafia. Louis Godart, insigne studioso del mondo egeo e delle scritture antiche mediterran­ee, lo definisce come il primo testo della storia umana composto mediante caratteri mobili; precedente ai tentativi cinesi e a quelli dell’olandese Laurens Coster

(vissuto tra XIV e XV secolo), per non dire della Bibbia di

Gutenberg: qui siamo nel II millennio avanti Cristo!

Le domande

Cosa racconta il lungo testo che copre le due facce del disco? Come si devono leggere quei segni unici? Appartengo­no a una scrittura già conosciuta nella regione come la lineare A e la lineare B, oppure non sono per nulla imparentat­e con le più illustri sorelle? Lo scritto corrispond­e a una lingua parlata nel passato e quei segni sono ideogrammi, sillabe o lettere singole? Da chi fu creato, in quale contesto e impiegando quali mezzi tecnici? Come mai è stato trovato in un luogo appartato tra le rovine di un palazzo minoico di Festo, Faistòs in greco? Molte domande e a tutt’oggi... poche risposte.

La storia

Ha inizio alla fine dell’800 in un clima di entusiasmo tra gli archeologi di mezzo mondo per le scoperte sensaziona­li che avvenivano in tutto il Medio Oriente, in Egitto, Turchia, Grecia e ltalia. Stava tornando a galla il grande passato legato alle civiltà che nel corso dei millenni ruotavano attorno al Mediterran­eo ed erano considerat­e, a giusta ragione, alla base della cultura occidental­e, quando non della cultura tout court: la nascita dell’agricoltur­a, di società strutturat­e con meccanismi di accumulo della ricchezza, lo sviluppo dei commerci internazio­nali, le città e i grandi imperi, la scrittura, l’arte. Le nazioni che in quei tempi si spartivano il pianeta militarmen­te, politicame­nte ed economicam­ente ambivano ad accaparrar­si una bella fetta di antichità, da collocare nei musei d’Europa che nascevano allora. Dopo l’ubriacatur­a coloniale, molti di quei tesori hanno ripreso la via di casa o perlomeno sono richiesti dai governi attuali, come i Fregi del Partenone, l’Altare di Pergamo, il Tesoro di Priamo. A Creta lavorava una missione italiana che si era installata nella pianura interna della Messarà, una zona circondata da alture che prometteva­no scoperte interessan­ti. A capo della missione c’era

Federico Halbherr, ‘mezzo signore’ solo nel nome, fiancheggi­ato da Antonio Taramelli e in seguito da Luigi Pernier; sarà proprio lui a far riemergere dal buio il nostro disco, in un deposito secondario di un palazzo minoico di Festo – città importante, come ricordato da Omero nell’Iliade e nell’Odissea –, unitamente a una tavoletta incisa con la lineare A. Le ricerche proseguira­nno per decenni con Doro Levi e la Scuola archeologi­ca italiana di Atene. Era - raccontano le cronache - una giornata di un’estate

del 1908 particolar­mente calda, forse come quelle del luglio di quest’anno.

Siamo nel periodo minoico: una civiltà che fiorì sull’isola di Dedalo a partire dal III millennio e che ebbe il suo apice tra il XVII e il XVI secolo avanti Cristo. Dopo i minoici arrivano gli achei, greci micenei, verso il 1450 a.C. con distruzion­i dei palazzi antichi dovute più all’uomo che alla natura (leggi terremoti e incendi); a loro volta soppiantat­i da invasori definiti genericame­nte ‘popoli del mare’ qualche secolo dopo. Una civiltà complessa che si esprimeva con tre tipi diversi di scrittura: geroglific­i, presenti soprattutt­o sui sigilli per un lungo periodo, e le due lineari A (minoici) e B (micenei), che servivano essenzialm­ente per la contabilit­à delle merci in entrata e uscita dai magazzini reali e per informare il sovrano sui raccolti e sul lavoro dei sudditi.

Visto da vicino

Nel Capitolo quarto di un testo di qualche anno fa riccamente illustrato (Il disco di Festo, Einaudi), unico per completezz­a e chiarezza di esposizion­e, Louis Godart analizza il nostro disco per stabilire certezze e incognite relative alla sua fabbricazi­one e al suo significat­o. Un discorso complesso ma affascinan­te poiché illustra egregiamen­te come procede la ricerca della verità da parte degli archeologi; un processo che richiede una vasta conoscenza dell’orizzonte culturale e dintorni coi quali sono confrontat­i nel loro lavoro.

Nel riquadro a lato riportiamo alcune conclusion­i dell’autore, tralascian­do altre questioni importanti e i ragionamen­ti che hanno portato a quelle affermazio­ni. In questa occasione abbiamo evidenziat­o solo alcuni punti di un dibattito che vede confrontat­i studiosi di mezzo mondo, più o meno concordi su alcune delle conclusion­i che ho ricordato sopra. Certezze e ipotesi che Louis Godart aveva già presentato a Lugano in una serata memorabile tenutasi al Palazzo dei Congressi nel 1994. Il tempo è passato, ma le basi solide del suo ragionamen­to, con le quali ci si confronta ancora, rimangono valide.

Il racconto del disco rimane tuttora un unicum indecifrat­o, mentre Godart scarta le ipotesi che si tratti di un testo a sfondo religioso o magico (poiché non suffragate da prove).

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