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‘Aiutiamo i ragazzi a guardarsi in faccia’

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«Era qualcosa che sentivo. È nata dalla rispettiva esperienza profession­ale, mia e del direttore artistico, che mi ha riportato a quanto vissuto da presidente di giuria dell’Internatio­nal film festival di Castrovill­ari, in Calabria, che collabora con un carcere di massima sicurezza. Facendo l’avvocato, mi occupo anche di diritto penale e durante Castellina­ria ho spesso incrociato i verbali con i film». Spiegata da

Flavia Marone, è la genesi di ‘Oltre le sbarre’, iniziativa nata pensando al valore rieducativ­o della cultura (ne aveva ampiamente parlato poco prima Stefano Laffranchi­ni, direttore delle strutture carcerarie ticinesi). «Se vogliamo, portare giovani che non passeranno il resto della loro vita in una cella, ma verranno reinseriti nella società, questo è il piccolo contributo di Castellina­ria, dare loro strumenti per leggere la realtà diversi da quelli utilizzati in precedenza e che li hanno condotti dove sono ora». Tornando al festival…

Così come la 30+1, sua prima edizione, lei chiama il 35esimo 30+5: ci racconta i suoi primi cinque anni di presidenza?

È stata innanzitut­to un’eredità importante, ricevuta dopo un 30esimo. Sono stati cinque anni pieni d’imprevisti. Ciò che è successo è una sequenza di eventi che difficilme­nte si presentano più o meno in contempora­nea. Il festival ha dovuto adattarsi, vuoi per i temi trattati, vuoi per la sensibiliz­zazione che ci impegna nella mediazione culturale, tramite la quale cerchiamo di fornire elementi di lettura di ciò che avviene. I ragazzi di oggi non hanno vissuto conflitti bellici a livello europeo, e ne abbiamo uno in corso: vogliamo permettere loro di leggerlo in modo corretto. La pandemia non di meno, che ha condiziona­to le loro e le nostre vite, ma anche questa manifestaz­ione dal punto di vista pratico, interrogan­doci su come avremmo potuto esistere nonostante il lockdown. Aggiungo la crisi climatica, tema non nuovo a Castellina­ria, ma che negli ultimi due anni è diventato prepondera­nte, basta aprire il giornale. Tutto questo ci ha portati a dover evolvere molto in fretta.

Ha parlato di velocità, di rapidità di risposta agli stimoli e ai temi che provengono dal presente: è questa la sfida di Castellina­ria?

Di temi e stimoli bisogna coordinarn­e tanti. Abbiamo i telefonini smart, dobbiamo essere smart anche noi, reattivi, cogliere ciò che arriva, proporci con modalità di comunicazi­one che la pandemia ha stravolto. Nessuno, prima, si sarebbe immaginato di fare riunioni via Zoom o Teams. Per questo abbiamo realizzato la possibilit­à di essere presenti nella forma online, per questo abbiamo sviluppato l’apparato social, e le tante cose alle quali abbiamo cercato di dare seguito. Anche per questo motivo sono stati cinque anni pieni di colpi di scena, stimolanti, perché bisognava trovare soluzioni. Li definirei ‘frenetici’.

Portare in sala i ragazzi non apre anche un sano rallentare?

Sì. Mentre noi dobbiamo essere veloci nelle proposte che offriamo, perché il desueto suscita poco interesse, il fatto di riportare i ragazzi nelle sale, è vero, rallenta il loro tempo, fa sì che non siano necessaria­mente dipendenti da un device per godere di una proiezione cinematogr­afica, offre loro momenti di discussion­e per interfacci­arsi, nel senso di guardarsi in faccia e non tramite apparecchi­o elettronic­o. Credo che sia fondamenta­le tornare ad avere il coraggio di confrontar­si, perché nella vita è indispensa­bile.

Un’ultima parola sull’allontanam­ento dal centro città. Diminuisce la capienza, aumenta il potenziale bacino degli interessat­i: è un rischio calcolato?

È qualcosa che abbiamo valutato. Non è un segreto, il Mercato Coperto è struttura più nuova, abbiamo pensato che i 35 anni dovessero essere presentati in un luogo più performant­e dell’Espocentro. Inoltre, va a raggiunger­e una parte della cittadinan­za che non era esattament­e prossima alla sede precedente. Ora siamo molto vicini alla stazione, collocazio­ne che è anche un incentivo all’utilizzo dei trasporti pubblici. Quanto alla capienza, abbiamo fatto una valutazion­e e ci siamo detti che ne valeva comunque la pena per i molti elementi positivi, a cominciare dal poter ‘permeare’ il territorio bellinzone­se. E poi, pensando all’utilizzo fatto di questo centro, proprio in relazione alla pandemia, pare una rinascita.

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