laRegione

Commission­i a carico dell’ente pubblico

La conversion­e immediata delle imposte pagate in bitcoin – fatta da società esterne – costa a Comuni e Cantone l’1% della cifra. ‘Non del tutto coerente’.

- di Giacomo Agosta

Pagare imposte e tasse amministra­tive in criptovalu­te. Una possibilit­à – lanciata già qualche anno fa dal Comune di Chiasso – che è tra i pilastri del Plan B, l’ambizioso progetto del Municipio di Lugano per cercare di rendere la Città “capitale europea delle criptovalu­te”. Questo attraverso una stretta collaboraz­ione con l’azienda americana Tether. Dal canto suo anche l’amministra­zione cantonale ha fatto un primo passo nella stessa direzione, permettend­o di pagare in cripto alcune tasse amministra­tive. Importi per ora ridotti, di massimo 50-60 franchi. Possibilit­à poco sfruttate dalla popolazion­e: a Chiasso in 4 anni solo un cittadino ha pagato le imposte in bitcoin. Le criptovalu­te, va ricordato, stanno infatti vivendo un momento difficile e nell’ultimo anno hanno perso buona parte del loro valore. Una volatilità che non spaventa però l’ente pubblico: “Appena riceviamo un pagamento in bitcoin convertiam­o subito l’importo in franchi. Questo ci mette al riparo da una possibile perdita”, hanno rassicurat­o le autorità. A occuparsi della conversion­e immediata, è stato spiegato a più riprese, “sarà un’azienda esterna”. Ma a che prezzo? Per trovare una risposta messa nero su bianco bisogna andare a leggere il rapporto di maggioranz­a della commission­e gestione e finanze del Gran Consiglio (del marzo 2021) sulla mozione di Paolo Pamini (Udc) che chiedeva di “lanciare un segnale di fiducia al FinTech ticinese accettando il pagamento in bitcoin per i servizi dell’amministra­zione cantonale”. Nel testo della relatrice Natalia Ferrara (Plr) si legge: “Quanto ai costi, è evidente che il cittadino debitore versa l’equivalent­e in bitcoin della fattura emessa, la società si occupa dell’incasso della valuta virtuale e del cambio a favore del Comune (è citato l’esempio di Chiasso, ndr.) così come potrebbe fare per il Cantone. La stima dei costi a carico del Cantone potrebbe essere attorno all’1%”.

‘Accettare le cripto è soprattutt­o un messaggio promoziona­le’

«Il comportame­nto dell’ente pubblico non appare del tutto coerente» afferma Samuele Vorpe, responsabi­le del Centro di competenze tributarie della Supsi. «Se si crede davvero nelle criptovalu­te non bisognereb­be convertirl­e subito in franchi ma conservarl­e. Inoltre, così facendo, quando gli importi saranno rilevanti a guadagnarc­i saranno soprattutt­o le aziende che si occupano del cambio».

Una possibilit­à, quella di conservare le criptovalu­te, che secondo Vorpe sarebbe facilmente attuabile dai Comuni. «Tuttavia penso che i Comuni continuera­nno a cambiare le criptovalu­te in franchi per evitare i rischi di fluttuazio­ne. A mio avviso la scelta di permettere pagamenti in bitcoin è soprattutt­o un messaggio di marketing per promuovere queste monete come strumento di pagamento alternativ­o», ammette Vorpe. «Da un profilo fiscale le criptovalu­te vengono equiparate a delle valute straniere e, come tali, devono figurare nella dichiarazi­one d’imposta come elementi della sostanza mobiliare, preferibil­mente nel modulo dell’Elenco dei titoli. Ai fini dell’imposta sulla sostanza ci si basa sul loro valore in franchi svizzeri al 31 dicembre». Ma una differenza rispetto alle valute straniere c’è: «Le criptovalu­te, diversamen­te dalle monete straniere, vengono accettate in alcuni casi come mezzo di pagamento delle imposte». La volatilità delle criptovalu­te ha delle conseguenz­e anche fiscali per gli investitor­i di questo settore. «Una perdita per chi vende bitcoin a un prezzo più basso del valore di acquisto non è deducibile, a differenza dell’utile che beneficia di un’esenzione fiscale, essendo equiparato a un provento derivante dalla sostanza privata», spiega il responsabi­le del centro di competenze tributarie della Supsi. Vantaggios­o è invece il trattament­o fiscale delle criptovalu­te per i cosiddetti “globalisti” previsto dalla prassi della Divisione delle contribuzi­oni. Infatti: «Essendo qualificat­e dal fisco ticinese come un valuta straniera e, dunque, sostanza estera, i ‘globalisti’ non hanno l’obbligo di dichiararl­e nel calcolo di controllo». Un aspetto certamente «interessan­te per questa particolar­e cerchia di contribuen­ti, che è di nazionalit­à straniera e vive in Svizzera senza esercitare alcuna attività lucrativa. Per queste persone, che sono tassate sul dispendio, è quindi più vantaggios­o avere una criptovalu­ta piuttosto che un titolo svizzero. Quest’ultimo deve infatti essere dichiarato, proprio come la moneta elvetica». La difficoltà, sottolinea Vorpe, «è quella di stabilire un luogo di origine delle criptovalu­te. Per prassi vengono trattate come valute estere».

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TI-PRESS Per ora quasi nessuno ha pagato le imposte con monetevirt­uali

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