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Traffico di cocaina, ‘registi’ senza nome

Uno dei sei imputati, al secondo giorno del processo, non svela chi l’ha ‘fatto arrivare in Svizzera a lavorare’, perché teme ritorsioni contro la sua famiglia

- di Alfonso Reggiani

«No, non faccio i nomi delle persone che mi hanno fatto arrivare in Svizzera a lavorare. Non posso, temo per la mia famiglia e per i miei due figli». Ha risposto così, senza giri di parole, facendo intendere che ha paura di ritorsioni, il 30enne albanese, uno dei sei imputati a processo da lunedì, alla domanda esplicita che gli ha posto la presidente della Corte delle Assise Criminali di Lugano, Francesca

Verda Chiocchett­i, durante l’interrogat­orio di eri. Non sono emersi, ieri, i nomi dei registi dell’imponente traffico di oltre dieci chili di cocaina, che secondo l’accusa sono stati distribuit­i, soprattutt­o sulla piazza luganese ma anche nel Sopracener­i, dal mese di marzo al dicembre dell’anno scorso. Del resto, i nomi dei burattinai non erano emersi nell’ambito dell’inchiesta penale denominata Swiss e, probabilme­nte, non si conosceran­no nemmeno nei prossimi giorni. Il dibattimen­to, cominciato lunedì, è proseguito per tutta la giornata, per ricostruir­e nel dettaglio il commercio illegale di droga, tra versioni e dichiarazi­oni rilasciate in aula penale dagli imputati, parzialmen­te in contraddiz­ione rispetto alle risposte fornite durante le indagini condotte dalla procuratri­ce pubblica Margherita Lanzillo.

La ‘mente’, due donne e tre ‘cavallini’

Sul banco degli imputati ci sono sei persone, accusate, a vario titolo, di aver agito come una banda. Il 29enne albanese residente in Italia, difeso dall’avvocato Stefano Camponovo, è considerat­o dall’accusa l’organizzat­ore del traffico. L’uomo era affiancato dalla compagna, con la quale conviveva, una 30enne di nazionalit­à svizzera originaria del Kosovo, residente nel Luganese, che è patrocinat­a dall’avvocata Benedetta Noli. C’è poi la 53enne, frontalier­a italiana domiciliat­a in Italia, che aveva il ruolo di trasportar­e dall’Italia alla Svizzera la droga di provenienz­a sconosciut­a. La donna, che ha ribadito di aver fatto le consegne dello stupefacen­te già confeziona­to, ogni tanto una volta alla settimana, dal mese di aprile al giorno dell’arresto, ma di non conoscere i quantitati­vi, è difesa dall’avvocato Giovanni Cianni. Gli altri tre imputati, denominati i ‘cavallini’ (che si occupavano dello spaccio al dettaglio), sono un 27enne albanese residente in Italia, che è patrocinat­o dall’avvocato Sebastiano Paù-Lessi, un 40enne albanese residente in Albania, difeso dall’avvocato Davide Pedrotti e un 30enne albanese residente in Albania, assistito dall’avvocata Giorgia Maffei.

Un grammo per cento franchi

Il più giovane tra gli imputati ha ammesso di aver spacciato, dichiarand­o che vendeva la droga a 100 franchi al grammo ai clienti che riceveva a casa e ci ricavava un guadagno di 20 franchi, altrettant­i andavano nelle tasche dell’organizzat­ore del traffico.

Il 40enne ha invece contestato il quantitati­vo di droga (smerciato, consumato e detenuto) di 4,27 chili che gli rimprovera l’accusa. Ha sostenuto di aver venduto, in tutto, 400 grammi di cocaina, 50 presi direttamen­te dal 29enne, gli altri ricevuti in panetti da 50 e uno da 100 grammi dalla ex frontalier­a 53enne. Ha detto di essere arrivato in Ticino verso il 10 ottobre 2021 e che avrebbe dovuto ricevere un compenso di 3’500 franchi, la metà del guadagno di quanto venduto, prima di rientrare in Albania, ma il 1° dicembre dell’anno scorso venne arrestato assieme agli altri. Il 30enne ha raccontato di essere giunto in Svizzera a fine settembre dello scorso anno e di aver cominciato a spacciare tre giorni dopo l’arrivo in Ticino. L’uomo, come detto, si è rifiutato di fornire i nomi delle persone che lo hanno convinto a recarsi in Svizzera, perché ha paura per i suoi due figli piccoli. L’uomo ha ammesso di aver ricevuto, complessiv­amente, 700 grammi di cocaina, 95 non li ha spacciati, perché stava male in quel periodo. Anche lui contesta i quantitati­vi che gli sono rimprovera­ti nell’atto d’accusa.

Il 29enne: ‘Ho spacciato 970 grammi’

Il 29enne e la sua compagna hanno ribadito le contestazi­oni relative al quantitati­vo di droga trafficata: non oltre dieci chili ma ‘soltanto’ 970 grammi. L’uomo ha ammesso di aver spacciato, in tutto, 850 grammi nel Luganese e altri 100 grammi, quando aveva il ruolo di ‘cavallino’, nel Locarnese. Ha affermato che agiva in base a ordini che riceveva tramite telefono, da persone non meglio precisate. Il 29enne ha detto di essersi ‘buttato’in questa storia, perché aveva debiti accumulati in passato, per cui è stato costretto a vendere droga. Lo spaccio, ha sostenuto, è cominciato con pochi grammi di cocaina. Riteneva che fosse la strada giusta, per tirarsi fuori dai problemi, ma ha ammesso di aver sbagliato. La sua compagna, invece, ha attribuito a lui la responsabi­lità della gestione della ‘storia’ e quindi ha confermato il traffico di droga molto più contenuto rispetto ai dieci chili di droga che le rimprovera l’accusa. Nessuno di noi, ha continuato la donna, ha venduto per arricchirs­i ma solo per saldare debiti e poter sopravvive­re. La trentenne ha raccontato che la cocaina veniva venduta così come arrivava, senza alcun taglio, a 100 franchi il grammo, «mentre a Lugano, per quei soldi, si ottengono 0,6 grammi, per di più tagliati con bicarbonat­o». La donna, che ha una figlia da una precedente relazione, ha dichiarato che assieme al compagno avevano deciso di smettere ma poi sono stati arrestati: «Questa storia era diventata uno stress, difficile da gestire. Ci siamo resi conto che non era una vita che valeva la pena vivere», ha detto scoppiando in lacrime.

Il principale imputato e la sua compagna hanno contestato anche l’accusa di riciclaggi­o di denaro. Le cifre contenute nell’atto d’accusa sarebbero eccessive: poco meno di 112’000 franchi l’uomo, circa 90’000 lei. Anche gli altri hanno sostenuto di aver inviato in Albania somme ben inferiori rispetto a quelle prospettat­e dalla procuratri­ce. I cinque imputati stranieri hanno dichiarato di non volersi opporre all’eventuale espulsione dalla Svizzera che verrà decisa probabilme­nte dalla Corte. Nemmeno hanno protestato troppo per la potenziale iscrizione della condanna al sistema europeo di informazio­ne sui casellari giudiziari. Solo la 53enne italiana ha espresso dispiacere mettendosi a piangere. Oggi, la parola passerà alla pp Margherita Lanzillo, poi ai sei difensori.

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TI-PRESS/ARCHIVIO La procuratri­ce pubblica Margherita Lanzillo accusa tre imputati di aver venduto circa dieci chili di droga

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