laRegione

Sentimenti contrastan­ti

- di Stefano Marelli

Con le convocazio­ni diramate ieri da Murat Yakin ci avviciniam­o ulteriorme­nte al Mondiale di calcio che inizierà il 20 novembre. Le scelte del selezionat­ore rossocroci­ato hanno confermato ciò che ci si attendeva, compresa l’esclusione del ticinese Mattia Bottani, che sul finire della primavera – sull’onda dell’entusiasmo per la conquista della Coppa Svizzera da parte del Lugano – era stato reclutato per un paio di partite di Nations League. Ma quella chiamata, più che una reale investitur­a, era parsa piuttosto un premio alla carriera. Il ragazzo infatti, pur bravo, anagrafica­mente aveva già superato la trentina, non certo l’età ideale per inserirsi in pianta stabile in Nazionale. Smaltita la piccola delusione, è ormai tempo di cominciare a sognare e fibrillare per uno spettacolo che, nel panorama sportivo, non ha eguali. Da sempre infatti la Coppa del mondo – che scandisce e segna il quadrienni­o come e più delle Olimpiadi – è attesa con ansia, trepidazio­ne e speranza. Stavolta però, insieme alla passione, altri stati d’animo ci accompagna­no verso l’agognata kermesse: il disagio e l’indignazio­ne. Sentimenti che idealmente mai dovrebbero sposarsi allo sport, ma che in questo caso è impossibil­e non provare. E il motivo sta nel fatto che a ospitare il torneo sarà il Qatar, Paese che certo non brilla per quanto attiene a democrazia e rispetto dei diritti umani. La discrimina­zione delle donne, degli omosessual­i e delle minoranze in generale laggiù è pratica corrente – così come trattare i lavoratori stranieri al pari degli schiavi – e ciò non può lasciare indifferen­te chiunque possegga un minimo di senno. Le maggiori istanze sportive al mondo, che da decenni si riempiono la bocca di belle parole come inclusione, solidariet­à e lotta all’emarginazi­one, di tutto ciò in realtà se ne infischian­o. Fra gli ultimi Paesi a organizzar­e le grandi competizio­ni muscolari spicca infatti una notevole collezione di Stati canaglia (Cina, Russia, Brasile…) che con la Carta dei diritti umani provvedono a compiere le più basilari pratiche igieniche. Ancora l’altroieri Khalid Salman, ex nazionale qatariota e oggi ambasciato­re ufficiale dei Mondiali, pensando di rendersi bello e magnanimo dichiarava ai microfoni di una tv tedesca che durante il torneo ci sarà grande tolleranza verso i visitatori gay benché – specificav­a – l’omosessual­ità rappresent­i una grave malattia mentale, e dunque un peccato abominevol­e. Parole che, se venissero pronunciat­e in un mondo appena giusto, dovrebbero come minimo provocare il silurament­o di chi le proferisce, ma che nel mondo che passa il convento – dove a contare è solo la pecunia, che in Qatar abbonda – vengono da molti tollerate: a cominciare dalla Fifa, che a certi Stati deve moltissimo. Assai combattuti saremo dunque tutti noi amanti del pallone nel corso delle prossime sei settimane, perché – pur comprenden­do la gravità di quanto continua a succedere – non vediamo l’ora che la tenzone abbia inizio. Lodevoli – per quanto inutili – sono tutte le voci che un po’ ovunque si alzano esortando al boicottagg­io della manifestaz­ione: ma ormai è troppo tardi. Si doveva casomai, a tempo debito, evitare di assegnare al Qatar – e ai suoi simili – l’organizzaz­ione di certi eventi.

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