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Cinque Stati ‘salvano’ l’aborto

- L.E.

Ma quindi l’aborto ha pesato sulle scelte elettorali? Lo scandalo destato dalla decisione della Corte Suprema – che ha rovesciato la storica sentenza Roe v. Wade del 1973, demandando ai singoli Stati la regolament­azione dell’interruzio­ne di gravidanza – risale a fine giugno: spesso a influenzar­e il voto sono polemiche più recenti e nel frattempo altre preoccupaz­ioni hanno preso il sopravvent­o, dall’inflazione alle tante emergenze sociali sul territorio. Eppure gli exit poll dicono che la ferita brucia ancora. E che la maggioranz­a degli americani non la pensa come i suoi giudici, lo si è visto martedì in cinque referendum: in California, Michigan, Vermont, Kentucky e Montana – Stati assai diversi tra loro per composizio­ne sociodemog­rafica e ‘ideologia’ – gli elettori si sono espressi a favore del diritto all’aborto, sia pur pronuncian­dosi su quesiti talora molto diversi.

In California, Stato liberal quant’altri mai, si è votato per inserire in Costituzio­ne la piena protezione della libertà riprodutti­va, dalla contraccez­ione all’interruzio­ne di gravidanza. Risultato, scontato: si prospetta un 65% di sì. Nel Vermont, governato da quei ‘country club Republican­s’ così lontani dalla Right Nation di Bush prima e di Trump poi, è stato il 77,2% dei votanti – col beneplacit­o dello stesso governator­e – a scegliere di scrivere nella carta fondamenta­le che “il diritto di un individuo all’autonomia riprodutti­va personale è fondamenta­le per la libertà e la dignità di decidere il proprio corso di vita e non può essere negato o violato se non per un interesse statale imperativo, da raggiunger­e con i mezzi meno restrittiv­i possibili”. Musica assonante in Mi

chigan, dove il 56,7% degli elettori ha deciso – con buona pace della governatri­ce repubblica­na – che la Costituzio­ne deve difendere “il diritto individual­e alla libertà riprodutti­va”, diritto che riguarda l’aborto e “tutte le decisioni relative alla propria gravidanza”.

Diverso il caso dell’oggetto in discussion­e in Kentucky: nello Stato del bourbon e delle corse di cavalli l’aborto è diventato automatica­mente illegale allo ‘scadere’ della Roe v. Wade. L’emendament­o costituzio­nalemesso al voto mirava a rendere irreversib­ile questo divieto. Oltre il 52% dei Kentuckian­s ha deciso che non era il caso. Resta da capire quali saranno le conseguenz­e indirette di questo verdetto. Particolar­mente confuso il tema al voto in Montana, dove si direbbe ormai bocciata (con oltre il 52% di no) una legge che avrebbe imposto pene fino a vent’anni per medici e personale sanitario che non forniscono supporto attivo – ad esempio un’intubazion­e – ai bambini nati vivi anche dopo un tentativo di aborto. Il ‘referendum 131’ pareva riguardare solo pochissimi casi (stando a quanto riporta il ‘Post’ citando i dati del Center for Disease Control, i bimbi nati vivi durante una procedura di interruzio­ne di gravidanza sono stati 143 in 12 anni in tutti gli Stati Uniti e nel 96% dei casi sono morti entro 24 ore). Il New York Times ricorda che la protezione di base del neonato è già inserita nella legge federale, mentre la nuova legge avrebbe limitato le cure palliative e giustifica­to un accaniment­o terapeutic­o. Il timore dei contrari, inoltre, era che la campagna servisse come primo passo per mobilitare e compattare ulteriorme­nte il fronte antiaborti­sta in Montana, dove l’aborto resta comunque legale anche dopo la decisione della Corte Suprema.

Decisione che nel frattempo ha già reso automatica­mente illegale l’aborto in 12 Stati americani, stando alla conta dell’associazio­ne ‘Planned Parenthood’:

Texas, Oklahoma, Louisiana, Mississipp­i, Alabama, Arkansas, Missouri, Tennessee, Kentucky, West Virginia – tutti nel Sud-est – e più a Nord-ovest Idaho e South Dakota. Negli altri Stati le restrizion­i variano. Da giugno, le testate americane riportano numerosiss­ime storie di donne costrette a vagare per il Paese in cerca di una clinica che consenta loro di abortire al di fuori dello Stato ‘proibizion­ista’ di residenza: viaggi estenuanti per accedere a procedure costosissi­me, unica alternativ­a a cure pericolose e clandestin­e.

Schiavitù e marijuana

Sembrerà strano, ma altri cinque Stati americani hanno votato anche sull’abolizione della schiavitù, decidendo in quattro casi – Alabama, Oregon, Tennessee e Vermont – di imporre un divieto costituzio­nale. Se infatti l’abolizione federale della schiavitù risale al Tredicesim­o emendament­o del 1865, in molti Stati i detenuti sono costretti a lavori forzati che molti ritengono un trattament­o analogo. Si ritiene dunque che un emendament­o costituzio­nale statale, seguito dalle opportune sentenze su casi concreti, possa progressiv­amente limitare il lavoro carcerario solo a mansioni effettivam­ente giustifica­bili entro un piano di riabilitaz­ione sociale. A votare contro è stata solo la Louisiana, Stato nel quale la maggioranz­a ritiene evidenteme­nte che una misura del genere sarebbe troppo costosa per lo Stato – imponendo di retribuire o commission­are altrove il lavoro che oggi svolgono i carcerati – oppure che sempliceme­nte “i criminali se la meritano”, la schiavitù.

Infine, per l’ennesima volta, la marijuana. Il Maryland è il ventesimo Stato ad approvare l’uso ricreativo con oltre il 65% dei voti. A seguirlo dovrebbe essere anche il Missouri (53%). Probabile no, invece, in NorthDakot­a, SouthDakot­a e Arkansas.

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INFOGRAFIC­A: LAREGIONE / DATI: NYT, CNN / IMMAGINI: KEYSTONE

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