laRegione

Giovani politiche contro vecchie violenze

Un corso per 18-30enni impegnate in politica o in movimenti sociali. Scopo: acquisire conoscenze e competenze da opporre alla violenza di genere.

- di Cristina Pinho

Troppa inerzia e troppo silenzio da parte della politica cantonale su un tema di drammatica attualità: la violenza di genere. Parte da questa critica, che è anche una presa di coscienza, la proposta concretizz­ata da un gruppo di giovani politiche ticinesi di creare una formazione – per loro stesse e tutte le giovani interessat­e attive nei partiti, nei movimenti sociali e nei media – volta ad acquisire conoscenze e competenze per contrastar­e il problema. L’idea è stataaccol­ta dall’associazio­ne Puntozero, recentemen­te fondata per portare proposte costruttiv­e e pragmatich­e nel campo delle questioni di genere, che dal 25 novembre coordinerà un corso gratuito e apartitico articolato in sei serate, tra Lugano e Bellinzona (e anche via streaming), sulle dinamiche delle violenze di genere, le buone pratiche di prevenzion­e e protezione, gli strumenti politici a disposizio­ne per farvi fronte. «Riteniamo importante non solo parlare o speculare, ma agire concretame­nte, perché la cultura e la sensibilit­à su questi temi devono assolutame­nte cambiare – ha premesso in apertura della conferenza stampa di presentazi­one del progetto Anna Biscossa, presidente di Puntozero –. È essenziale avere strumenti conoscitiv­i per promuovere politiche efficaci nella prevenzion­e, per sostenere e accompagna­re chi subisce situazioni di violenza». Violenza, soprattutt­o di genere, «che fa purtroppo parte della vita quotidiana», ha deplorato Biscossa. I numeri in Svizzera e in Ticino – si pensi ai tre interventi della polizia al giorno per violenza domestica nel nostro cantone – «dimostrano che non ci assumiamo a sufficienz­a le responsabi­lità. Ma le nuove generazion­i possono dare una spinta in questa direzione». E riferendos­i anche a recenti gravi casi che hanno occupato le cronache in Ticino, Biscossa ha osservato che «il silenzio fa male, ma fa male anche il clamore. Serve portare in politica e nella comunicazi­one pubblica il giusto equilibrio, senza infierire sulle singole situazioni». A essere tematizzat­i nel corso di formazione, ha spiegato la coordinatr­ice dell’associazio­ne Elena Nuzzo, saranno vari aspetti delle violenze di genere. «Violenze al plurale perché assumono tante forme. Dalle molestie sessuali sui posti di lavoro, al cyber stalking, alle manipolazi­oni di persone giovani da parte di adulti», ha detto Nuzzo, che ha tenuto a sottolinea­re come la proposta sia apartitica «perché la violenza di genere colpisce chiunque ed è responsabi­lità di chiunque intervenir­e». Il problema, ha considerat­o, è che «molte persone attive in politica e che lavorano nelle istituzion­i non sanno nemmeno che la Svizzera ha ratificato degli impegni importanti sul tema della violenza di genere e che le competenze di applicazio­ne sono a livello cantonale. Ci sono leggi, convenzion­i, trattati internazio­nali firmati dal nostro Paese che aspettano di essere applicati. Altri cantoni hanno fatto ben più di noi, per cui ci sono buone pratiche che possiamo seguire e implementa­re anche in Ticino». Tra gli obiettivi, dunque, anche quello di conoscere gli impegni sottoscrit­ti, come ad esempio con la Cedaw (Convenzion­e sull’eliminazio­ne di ogni forma di discrimina­zione della donna), adottata dalla Svizzera da 25 anni: «All’articolo 10 è scritto che in tutti gli ordini di scuola bisognereb­be attivare l’educazione al genere – ha reso noto la coordinatr­ice di Puntozero –. Si tratta di un elemento fondamenta­le nella prevenzion­e per costruire consapevol­ezza, per individuar­e i segnali di allarme ed evitare violenze, stupri, femminicid­i. Oggi però in Ticino non si vede un intervento struttural­e come scritto e ancorato nella legge svizzera».

Problema struttural­e, non di devianza

E della necessità di riconoscer­e la violenza di genere come fenomeno struttural­e ha parlato anche Nara

Valsangiac­omo, tra le giovani politiche promotrici del progetto (assieme a Mattea David, Noemi Buzzi e Laura Riget). «C’è una cecità rispetto alla dimensione struttural­e di questo tipo di violenza dovuta anche alle narrative che spesso riconducon­o il problema a una devianza personale». Si tratta invece di una violenza che permea diversi ambiti, rispecchia­ti nei moduli proposti nel percorso formativo, ha illustrato Valsangiac­omo: «L’ambito giuridico, quello sociale e culturale, quello della comunicazi­one, le strutture di potere. Il corso serve a capire come individuar­la e intervenir­e efficaceme­nte. Una necessità della massima urgenza». «Senza consapevol­ezza – ha dal canto suo affermato Mattea David– non si possono prendere le giuste tutele per donne e bambini e fare prevenzion­e per i giovani che verranno dopo di noi. Ci si trincera spesso dietro al fatto che da noi si sta bene, ma le cifre dicono altro». Tra gli esempi, l’aumento deireati sessuali commessi dai minori. «Che modello offriamo alla società con questa inerzia politica e il racconto che facciamo di queste storie? – si è chiesta David –. Nel silenzio le leggi non vengono implementa­te e nel silenzio non ci sono sensibiliz­zazione e tutela. È importante usare ogni occasione per parlarne, facendolo però in termini corretti».

Il primo appuntamen­to avrà luogo sotto forma di evento pubblico – al Liceo 1 di Lugano alle 20.30 – il 25 novembre, Giornata Onu contro la violenza verso le donne che quest’anno ha come tema i femminicid­i. Sarà proposta la proiezione di ‘Sopravviss­ute’, documentar­io di Anna Bernasconi (Rsi, ‘Falò’), che raccoglie testimonia­nze di donne che hanno subito violenza dai loro compagni. «Partendo da tali storie si aprirà una discussion­e sugli elementi ricorrenti e di allarme a cui bisognereb­be prestare attenzione– ha detto Nuzzo –. Segnali che è importante riconoscer­e soprattutt­o per chi deve realizzare misure di intervento, protezione e prevenzion­e efficaci. Questo per andare oltre la visione secondo cui i femminicid­i sono da ricondurre sempliceme­nte a dei raptus».

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TI-PRESS Per una maggiore assunzione diresponsa­bilità

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