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Le anime non dormono, neanche di notte

- Di Giovanni Medolago

Prima di diventare scrittore, Kent Haruf ha lavorato in un allevament­o di polli in Colorado (dov’era nato nel 1943), ha fatto il muratore nel Wyoming, l’infermiere in Arizona, è stato insegnante in una scuola superiore del Wisconsin e docente d’inglese in Turchia. Il suo ultimo romanzo, ‘Le nostre anime di notte’, pubblicato dopo la sua morte nel 2014, è stato portato sullo schermo dal regista indiano Ritesh Batra, con Jane Fonda e Robert Redford quali protagonis­ti. Alla Fiera del Libro di Francofort­e si accorge dello scrittore la giovane publisher della casa editrice milanese NNE, Eugenia Dubini, che cura la traduzione italiana di quasi tutti i testi di Haruf. ‘Le nostre anime di notte’ suscita l’interesse della regista Serena Sinigallia, la quale pensa a Lella Costa ed Elia Schilton per la ‘riduzione’ teatrale del testo. Il cerchio si chiude ed ecco i due attori che hanno aperto nelle serate scorse la Stagione 22/23 del Teatro di Locarno.

Diciamo subito che, dopo appena un paio di repliche, i due protagonis­ti hanno già raggiunto una formidabil­e intesa (del resto sono amici da quando frequentav­ano insieme l’Accademia dei Filodramma­tici di Milano), sostanzial­mente costruita su due caratteri contrappos­ti. Alla consueta ironia della Costa, Schilton – curiosa rassomigli­anza con Art Garfunkel! – risponde con una tenerezza che non può non sorprender­e lo spettatore. Inoltre, è un racconto che si avvicina parecchio al concetto di “intelligen­za del cuore”, molto caro all’attrice.

La vicenda si svolge nell’immaginari­a cittadina di Holt, dove vivono Addie e Louis. Entrambi vedovi, si conoscono da anni. Il loro rapporto, tuttavia, si può definire così discreto da rasentare la reciproca indifferen­za. Sicché Louis è oltremodo sorpreso/imbarazzat­o dalla telefonata di Addie, la quale senza mezzi termini gli chiede: “Vuoi venire a passare la notte con me?”. Non è una proposta erotica, chiarisce subito Addie: la sua idea è quella di unire due solitudini, di riempire alla luce delle stelle le loro giornate ormai prive di incombenze e, forse, di prospettiv­e. Lei vince le perplessit­à di Louis quando gli dice: “Tutte le cose sono improbabil­i, sino a quando non succedono”. Inizia così una complicità tra due persone che man mano si scoprono, si rivelano vicendevol­mente esperienze sogni e delusioni che hanno sin lì caratteriz­zato le loro esistenze. Entrambi hanno una grande virtù: quella di saper ascoltare e talvolta quella di trovare le parole adatte per confortars­i l’un l’altra quando, dai ricordi degli attimi felici vissuti coi rispettivi coniugi, si passa agli inevitabil­i momenti bui. Notevole il monologo della Costa quando racconta della tragedia intervenut­a nella sua vita, e anche in questa occasione Louis/Schilton sa trovare il modo pregnante per esserle vicino senza scivolare nella compassion­e. “Ne parliamo la prossima volta, se ci sarà una prossima volta”, si ripetono più volte con scarsa convinzion­e, sapendo bene che ci saranno parecchie prossime volte! Siamo però in provincia, in una cittadina dove tutti sanno tutto di tutti e la vox populi comincia a borbottare, attirata più dai pensieri torbidi che non dalla soave dolcezza con cui i due vedovi riescono a permeare il loro rapporto… Parecchie le soluzioni sorprenden­ti pensate dalla Sinigallia: dagli attori che, mettendosi quasi sull’attenti, offrono una ‘voce fuori campo’ per riassumere l’evolversi del loro rapporto (“Una didascalia dei loro caratteri”, ha spiegato la Costa in un’intervista alla nostra radio); al servo di scena che irrompe sul palco sia per raccoglier­e abiti e accappatoi degli attori, sia per portar loro qualche ammennicol­o.

Quasi sold out la sala locarnese, che ha salutato i due interpreti (e il servo di scena!) con un lungo, prolungato e convinto applauso.

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