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‘Manifesto incerto 1, 2 e 3’

TRADUZIONE DI NICOLÒ PETRUZZELL­A, L’ORMA EDITORE

- Frédéric Pajak

Se si riflette sul rapporto tra testo e immagine, non si può sfuggire al Manifesto incerto: nei suoi nove volumi Frédéric Pajak, Gran Premio svizzero di letteratur­a 2021, ha percorso la zona grigia tra fumetto, illustrazi­one e letteratur­a. Salvo significat­ive eccezioni, ogni pagina dei primi tre libri (i soli apparsi, per ora, in italiano) è composta da una vignetta quadrata, senza parole, e un testo che scorre sotto di essa, dove si raccontano le vite di alcune figure del Novecento (Benjamin, Breton, Pound) intersecan­dole con esperienze e riflession­i dello stesso Pajak.

“Per anni ho cercato un modo per riconcilia­re parole e immagini” ha raccontato a settembre al Festival Babel. “Poi ho capito: la soluzione era lasciarle inconcilia­bili”. In effetti, nel Manifesto il rapporto tra testo e immagine è sfuggente: a volte le immagini sembrano mostrare ciò che racconta il testo (personaggi, luoghi…), altre s’avventuran­o per sentieri propri e oscuri (una galleria di ritratti di cani, degli attori in scena…).

Potrebbe allora venire la tentazione di sorvolarle; ma se si prova a leggere il testo senza di loro, qualcosa si inceppa: è come se la loro sequenza, per quanto misteriosa, tracci un binario su cui la lettura scorre saltando le asperità del testo e congiungen­do fili narrativi anche molto distanti.

In questo senso, Pajak sembra ribaltare il rapporto testo-immagine che vige nei fumetti tradiziona­li: se di solito il testo è ciò che conferisce un ordine di lettura ai disegni, esortando chi legge ad avanzare, qui parrebbe che siano i disegni a invitare a procedere nel testo, superando la contemplaz­ione del singolo paragrafo.

Un tale rovesciame­nto è possibile solo a una condizione: che la formafumet­to sia ormai tanto consolidat­a da poter giocare con libertà assoluta con le sue strutture; e così, con il monumento del Manifesto, Pajak non traccia soltando un percorso sconquassa­to e solenne attraverso il Novecento (“noi siamo, nostro malgrado, gli eredi delle ideologie del ’900. Ne siamo gli ospiti inebetiti, languiamo nel rifiuto delle loro illusioni ancora tiepide”), ma ci parla di una forma d’arte che ha raggiunto la piena maturità.

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