laRegione

Il centro(sinistra) di Amalia Mirante

- di Jacopo Scarinci

L’ultimo episodio della miserevole telenovela che ha visto protagonis­ti Amalia Mirante e il Ps ha portato all’unico finale possibile. Non stupisce infatti nessuno l’addio dell’economista a un partito che, dalla direzione alla base, ha mostrato in più occasioni democratic­he – Comitato cantonale, Conferenza cantonale, Congresso – di non volerla sulla lista rossoverde per il Consiglio di Stato. Ma, allo stesso tempo, è un addio che misura una temperatur­a ben al di sopra dei livelli di guardia che nessuno a sinistra può permetters­i di ignorare.

Ieri sera a ‘Detto tra noi’ Mirante ha fatto sapere che darà vita a un partito o a un movimento e che sarà di centrosini­stra. Quel centrosini­stra che invero di sinistra ha ben poco nella visione, e nei temi, di Mirante. Per non dire niente. Ha candidamen­te aggiunto che non vuole danneggiar­e nessuno, e che questo nuovo partito o movimento che dir si voglia vuole essere propositiv­o, non contro. Ebbene, se presenterà le liste per il Gran Consiglio e per il Consiglio di Stato è molto probabile che andrebbe a danneggiar­e e, forse, provochere­bbe conseguenz­e a livello di numeri in parlamento proprio a quel Partito socialista da cui è uscita. Una buona dose di pragmatism­o dovrebbe suggerire alla dirigenza del Ps due cose. La prima, è di comunque non sottovalut­are l’impatto che avrà l’addio di Mirante nell’elezione del prossimo Gran Consiglio. Perdere due o tre seggi, per il Ps, potrebbe comportare ad esempio lo scendere da due commissari a uno in Gestione, la commission­e più importante del parlamento. E ridurrebbe ancora di più un’efficacia e un’influenza già non entusiasma­nti a causa della sproporzio­ne a livello di eletti con il fronte borghese.

Il secondo aspetto su cui il Ps si deve concentrar­e – ‘cum grano salis’ – è il continuare a percorrere la strada tracciata e confermata dalla stragrande maggioranz­a dei propri iscritti. Vale a dire lavorare sul serio a un polo progressis­ta unito, senza inseguire né polemiche personali che hanno fatto il loro tempo, né programmi e idee lontani dalla propria piattaform­a di governo costruita assieme ai Verdi. La sinistra, non solo ticinese, ha una propension­e innata a farsi del male da sola e a scindersi in modi che spesso non sono ben capiti da chi compone l’elettorato di riferiment­o della sinistra stessa: le persone più fragili. Per questo motivo il compito cui adesso è chiamato il Partito socialista è più gravoso, ma non meno motivante, rispetto a quanto immaginava: creare davvero un programma a sinistra capace di raccoglier­e un consenso che a volte sembra essere o salpato per altri lidi, o dormiente. Prova ne è il pessimo risultato raccolto col referendum contro il ‘Decreto Morisoli’. Una campagna elettorale battente e con toni drammatici non ha portato neanche vicino al risultato auspicato, e qui non c’entra nulla Amalia Mirante. C’entra un’interpreta­zione della società e dei suoi bisogni che in questo momento non sempre porta a risposte capaci di motivare gli elettori. Il Ps, se vuole continuare a essere rappresent­ativo, deve invertire quella che pare essere una tendenza.

Dove porterà la scissione di Mirante forse non lo sa di preciso neanche lei. Se l’obiettivo sarà quello di fare uno sgambetto al Ps, il rischio per l’area è che a beneficiar­ne sarà ancora una volta una destra che i panni sporchi li lava in casa. E che i mal di pancia sa nasconderl­i, mostrandos­i compatta pure quando un presidente di partito dichiara di ambire a un seggio governativ­o del movimento con cui si è alleato. Il pragmatism­o, si diceva.

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