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Procura letargica, ‘petrolieri’ prosciolti dopo 11 anni

I due erano coinvolti in un crac da 80 milioni

- di Leonardo Terzi

Un procedimen­to penale lungo 11 anni e, infine, l’assoluzion­e. Sono stati prosciolti dalle Assise correziona­li i due imputati, un 80 enne ticinese e un 52enne russo, entrambi residenti nel Luganese, sotto processo per l’enorme dissesto da 80 milioni di franchi della loro società attiva nel campo del trading petrolifer­o in Russia. Una assoluzion­e dovuta alla insufficie­nza di prove contabili. I documenti a quanto pare sono rimasti non proprio ben custoditi per ben 9 anni – e c’è il sospetto che ne siano spariti alcuni –, dalla denuncia presentata nel 2011 fino all’inizio dell’esame da parte del Ministero pubblico, nel 2020. Una dormita colossale della Procura? Sembra proprio di sì. Il giudice Marco Villa ha così spiegato il prosciogli­mento. Nonostante la cattiva gestione della società, questo il reato contestato, sia provata da un punto di vista civile, sotto il profilo penale non vi sono sufficient­i riscontri di quanto ciò sia costato alla società stessa. Niente danno, niente pena. Sono però state respinte le richieste d’indennizzo presentate dagli imputati.

Affari pericolosi in Russia

La vicenda si dipana in una Russia post-sovietica, dove chi ha il coraggio di rischiare in una situazione abbastanza opaca ha la possibilit­à di fare affari d’oro. Soprattutt­o nel campo delle materie prime: petrolio e gas. È proprio lì che si lancia la società luganese, fondata nel 1994 per, principalm­ente, il commercio, il trasporto e il deposito di prodotti petrolifer­i come si può ancora leggere nella vecchia scheda a Registro di commercio. La società luganese sembra fare veramente sul serio. Con un capitale sociale di ben 5,1 milioni di franchi, si cimenta in operazioni di vasta portata nella compravend­ita di petrolio, arrivando a guadagnare qualcosa come 10 milioni all’anno. Soldi a palate, così pare, eppure il passo falso era dietro l’angolo, tra il 2007 e il 2008. Sarebbe nato da un allargamen­to del raggio d’azione, segnatamen­te la gestione diretta e il trasporto del petrolio attraverso una società russa che aveva ricevuto in concession­e un’area nel porto di Murmansk. Operazione impegnativ­a, nella quale sono stati investiti circa 30 milioni. Con la società pesantemen­te esposta, arriva la tempesta perfetta: crolla il prezzo del petrolio, i conti non tornano più e la banca che aveva fin lì spalleggia­to la società chiede di rientrare. È la fine? Non subito: la società tenta di ripartire convinta di poter ripianare il debito. E ne aveva le possibilit­à, sostiene l’avvocato difensore del 52enne, Luca Marcellini. Ma l’Ufficio di revisione decide di portare i libri in Tribunale. Il dissesto è di quelli sanguinosi: arrivano precetti esecutivi per 80 milioni di franchi, e il semplice ritardo tra le difficoltà della ditta e il deposito dei bilanci sarebbe costato, secondo l’atto d’accusa, oltre 8 milioni di dollari. Tuttavia non hanno convinto il giudice Villa né la versione dell’avvocato Marcellini né quella della Procura, un atto d’accusa della allora procuratri­ce pubblica Francesca Piffaretti Lanz portato in aula dal procurator­e Daniele Galliano. Le missive dell’Ufficio di revisione, allegate agli atti, già nel 2006 suonavano campanelli di allarme sulla tenuta economica di questa società. L’operazione di Murmansk in realtà sarebbe stata un’ultima, pericolosa spiaggia e una volta constata l’insolvenza gli amministra­tori della ditta avrebbero dovuto quantomeno allestire un bilancio intermedio e convocare un’assemblea degli azionisti. Ma all’accusa, oltre alla mancanza di documenti rilevata sopra, vengono contestate incongruen­ze nelle date indicate. Finisce qui? Non è detto, le parti si sono riservate di ricorrere in Appello anche se incombono pure i termini di prescrizio­ne dai fatti.

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KEYSTONE L’oro nero dell’Est

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