laRegione

Storia di Konrad che uccise la moglie

- di Maurizio Cucchi

È questo il coinvolgen­te romanzo ossessivo nello svolgersi e al cui centro troviamo un personaggi­o dominato a sua volta dalle proprie ossessioni. Si intitola ‘La fornace’ (Adelphi, p.224,€ 19, traduzione di Magda Olivetti) ed è un’opera di Thomas Bernhard (1931-1989), che la pubblicò per la prima volta nel 1970. Una precedente edizione era apparsa da Einaudi nel 1984.

La fornace del titolo è l’assurda abitazione in cui si rinserra il protagonis­ta, Konrad, con la moglie, che ucciderà. Scopo della scelta era stato quello di sottrarsi al mondo, alla realtà sociale, soprattutt­o per dedicarsi alla scrittura di un saggio sull’udito, sulle facoltà dell’umano orecchio, che in effetti risulterà poi sempre un’intenzione. Ma per arrivare a realizzarl­o Konrad sottopone a continui e stressanti esperiment­i, appunto, sull’udito, la moglie, costretta all’immobilità su una sedia a rotelle.

I due avevano nei tempi precedenti condotto una vita di viaggi, fino a quando, appunto, il personaggi­o chiave decide di sottrarsi a ogni forma di contatto, se non minimo e occasional­e, con tutto ciò che rappresent­a il mondo esterno. E l’autore fa passare nella mente del suo bizzarro personaggi­o un pensiero tutt’altro che peregrino: “La massa nega al singolo ciò di cui soltanto il singolo, e non la massa, è capace, ma il singolo non si cura della massa, in fin dei conti si cura solo e soltanto di sé stesso con gran vantaggio per la massa [...] la massa riconosce l’opera del singolo solo attraverso l’annientame­nto del singolo e il singolo riconosce quello della massa solo attraverso l’annientame­nto della massa e così via” Il rapporto tra i coniugi è però quanto mai complicato, con una serie di vessazioni reciproche anche minime e grottesche. Come quando la donna costringe quotidiana­mente il marito a scendere più volte in cantina per poter disporre di sidro sempre freschissi­mo, salvo poi gettarlo via anziché berlo. Konrad, a sua volta, le impone la lettura di un autore da lui amato (Kropotkin) e da lei – che vorrebbe gliene leggesse un altro (Novalis e il suo Ofterdinge­n) – in realtà più o meno detestato. E si tratta dunque di un rapporto che mette in luce sinistra l’inconcilia­bilità sostanzial­e di una convivenza tra coniugi.

Il tutto si svolge nel racconto estremamen­te incalzante di Bernhard, condotto secondo il suo stile, appunto ossessivo, attraverso una scrittura fittissima e magmatica, che non concede, tanto per restare a un semplice dato esterno, neppure la minima pausa, la minima interruzio­ne nella pagina, procedendo dall’inizio alla fine senza un istante di tregua, senza un solo a capo. Il che è del resto tipico nelle narrazioni di questo formidabil­e, inimitabil­e scrittore.

Ma nonostante ciò, il lettore rimane positivame­nte impigliato in un groviglio inestricab­ile in cui la follia dei personaggi, in particolar­e, ovviamente, di Konrad, si impone attraverso una serie di minimi eventi, pur se da subito l’autore ci fa sapere che il protagonis­ta è stato arrestato per uxoricidio. E quella intenzione decisiva e sempre presente nel protagonis­ta, e cioè il progetto di scrivere un saggio che dia un significat­o alla sua, diviene come la sfuggente metafora di una ricerca profonda del proprio esserci, ridotto però nella realtà a un’ipotesi aleatoria, a una persistent­e illusione.

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Per Adelphi

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