laRegione

Pasolini il giovane

Ne ‘Il giovane corsaro’, tra fiction e documentar­io, Emilio Marrese racconta la gioventù dell’intellettu­ale italiano, ora più ‘commestibi­le’ (ma sempre scomodo...)

- Di Beppe Donadio

Le scuole ticinesi non lo vedranno, perché nessuna scuola si è iscritta per vederlo. È l’unica pecca de ‘Il giovane corsaro - Pasolini da Bologna’, ma non è colpa del film – vivace, leggero, necessario – a rendere più ‘commestibi­le’ l’intellettu­ale italiano in mezzo alle colte celebrazio­ni dei cent’anni dalla nascita. “Avevo sette anni – dice il protagonis­ta del film – stavamo cenando, e al telegiorna­le davano un servizio sull’omicidio di Pasolini (…) Chiesi a mio padre chi era Pasolini; lui girò su ‘Striscia la notizia’ e senza togliere gli occhi dalla tv mi rispose: ‘Un busone’”. «È lo spunto dal quale sono partito. Anche a me, che un giorno chiesi chi fosse Pier Paolo Pasolini, fu risposto – non da mio padre – “un pervertito”». Attingendo da archivi audio e video, scritti inediti e tante immagini d’epoca, Emilio Marrese – giornalist­a, scrittore, sceneggiat­ore e regista – ricostruis­ce la gioventù bolognese di Pier Paolo Pasolini (che ha la voce di Neri Marcorè), non esattament­e un amore a prima vista: «Figura difficile da farsi piacere, da raggiunger­e. Proprio per questa mia antica difficoltà sarebbe stato ingiusto liquidarne la sua complessit­à e così le incongruen­ze. Ho amato ‘Salò’, ‘Mamma Roma’, ma continuo a trovare ostica parte del suo cinema e della sua letteratur­a. Eppure la sua forza è arrivata ai nostri giorni per i motivi che in tanti prima di me hanno detto».

Marrese alleggeris­ce l’ipertrofic­a celebrazio­ne da centenario del poeta di Casarsa immaginand­osi uno studente (Nico Guerzoni) che vuole incentrare la sua tesi di laurea sul rapporto tra Pasolini e la città, ricostruen­do del primo la formazione culturale ed esistenzia­le e, della seconda, l’apporto datogli. Proiettato ieri a Giubiasco, ‘Il giovane corsaro’ è in concorso nella sezione ‘Young’. «Spero che per ‘Young’ intendano il pubblico, perché io ho 55 anni. Mi consola sapere che c’è anche Pupi Avati…».

Emilio Marrese: Pasolini è sempre stato Friuli e borgate romane. Su Bologna in pochi si sono calati…

È il motivo per cui esiste questo documentar­io. Gli anni di Bologna sono in parte sconosciut­i anche ai bolognesi stessi, e invece sono importanti. Non è, quello bolognese, un Pasolini più importante degli altri, anzi, comandano ancora il poeta friulano e il regista delle borgate, ma mi piaceva l’idea che già altri hanno messo in pratica – penso a Mario Martone e al suo Leopardi ne ‘Il giovane favoloso’ –, e cioè andare alle origini del personaggi­o e del suo pensiero.

Quanto è difficile raccontare Pasolini ai giovani?

Io ci ho provato. Dico sempre che trovo patetici gli adulti che tentano di parlare ai giovani con un linguaggio giovane, e in quel caso gli esiti rischiano di essere comici. Dunque questo non è un film per i giovani. Però ho cercato di fare qualcosa di dinamico, altrimenti mi sarei annoiato io per primo. Stiamo facendo tante proiezioni per i licei, e i ragazzi possono annoiarsi tutti, dormire sulle sedie; ma se anche nella testa di uno di loro si apre un dubbio, se s’interessa alla vita attraverso Pasolini, la cosa mi rende orgoglioso. Alla fine di queste proiezioni spesso mi fanno domande con occhi sgranati, ed è il compliment­o più autentico, la misura più veritiera di quanto il film sia riuscito o meno. So che chieder loro attenzione su un documentar­io è come chiedere a me di leggere lo scritto di un amanuense del Trecento, ma Pasolini è giovane perché ribelle, in contrasto col sistema, col potere, con la società, con la famiglia, con l’ordine costituito. Come i ragazzi.

Sta smentendo l’espression­e

“ah signora mia, i giovani di oggi…”?

Da padre di un 24enne, un 20enne e un 17enne, so bene che esistono canali di totale incomunica­bilità e altri di potenziale scambio. Ma non posso più sentir dire che i ragazzi di oggi non valgono niente, che valgono di meno, che sono rimbambiti dal telefonino. Anche noi adulti siamo rimbambiti dal telefonino. I ragazzi di oggi sono meglio di come ero io, di sicuro. Quando, da dinosauro quale ti senti, riesci a risvegliar­e un interesse, a renderti interessan­te ai loro occhi senza essere trapper, soubrette o influencer – ma soltanto un vecchio regista – la sensazione è inebriante, gonfia l’ego.

Così dice Pasolini nel film: “Quando Manzoni scriveva I Promessi Sposi, il 97% degli italiani era analfabeta. Eppure nessuno avrebbe mai detto a Manzoni di non scriverli”. Pensiero, oggi, rivoluzion­ario?

Pensiero un po’ snob, anzi molto snob, però le cose si possono anche comprender­e più avanti. Occupandom­i di comunicazi­one da quando ho vent’anni, farsi capire è importante, dopodiché è il caso di non prostituir­si o rinunciare a se stessi per la paura di non essere compresi dalla totalità delle persone. Avendo obiettivi diversi da Pasolini, al quale nemmeno oso accostarmi, a me interessav­a arrivare al numero più ampio di persone per far capire che egli non è una montagna impossibil­e da scalare. Ho cercato di rendere commestibi­li concetti che restano difficili. Però, quando vado alla Biennale di Venezia non ho la pretesa di capire tutto degli artisti e nemmeno gli artisti della Biennale si devono preoccupar­e che io capisca quello che loro vogliono dire.

Gli artisti, “scandalosi già nel momento in cui aprono la bocca”, dice il poeta a Enzo Biagi…

Mi auguro con tutto il cuore che se Pasolini fosse vissuto più a lungo non sarebbe stato uno Sgarbi. Oggi, per noi, dare scandalo significa fare il guitto in television­e, cercare lo scontro, esasperare i toni col solo fine di stupire. Non so, in un contesto del genere, come Pasolini si sarebbe comportato. Era sicurament­e un narcisista, un innamorato di sé che voleva a tutti i costi provocare; negli ultimi anni era ossessiona­to dal voler a tutti costi sottolinea­re la propria diversità, essere corrosivo, urticante a prescinder­e. Però, molto di quel che sosteneva, in un contesto completame­nte diverso da quello odierno, era rumoroso ma giusto.

Il suo Pasolini preferito?

Mi ha molto colpito l’opinionist­a per la forza, l’efficacia chirurgica con la quale portava avanti le sue tesi, che il tempo ci ha detto non essere così folli. In fondo, quanto ha predetto della nostra società e della nostra politica si è, purtroppo, in gran parte avverato.

Anche sul calcio, da lui amato quanto i libri, ci aveva preso: “Nel prossimo futuro il calcio raggiunger­à fasti sempre più grandiosi. Il neocapital­ismo lo vuole (…) Coppe e campionati aumenteran­no di numero perché i lavoratori non chiederann­o di meglio che andare allo stadio due volte alla settimana, magari anche tre”, specifican­do che la sua previsione era pessimisti­ca…

È un’intervista del 1975 al Guerin Sportivo. L’istinto per il calcio è qualcosa di primordial­e, ancestrale e assolutame­nte trasversal­e. Pasolini non è l’unico intellettu­ale praticante e amante del pallone. Come diceva lui, “è una malattia che si contrae da giovane”, e che ci si porta dietro tutta la vita.

Per finire: giri i nostri compliment­i a Nico Guerzoni.

L’ho scoperto nel corto ‘Figli delle stelle’. Il suo essere ragazzo in transizion­e, o ‘attore trans’come si definisce, richiama i travagli di Pasolini in gioventù. Più di un ragazzo mi ha riconosciu­to il coinvolgim­ento non strumental­e. Nico è nel film perché è bravo, non per ottemperar­e alle richieste dei cast dei film odierni, che chiedono di coprire ogni possibilit­à legata al gender.

 ?? ?? Prima internazio­nale ieri, alla presenza del regista
Prima internazio­nale ieri, alla presenza del regista
 ?? ??
 ?? ??
 ?? ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland