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Mobilità Usi al top: ‘Coltiviamo la dimensione internazio­nale’

L’ateneo ticinese è tra i pochi in Svizzera (4 su 36) ad aver raggiunto l’obiettivo del 20% dei diplomati con un’esperienza all’estero. Un risultato non fortuito.

- di Cristina Pinho

Sono solo quattro su trentasei le scuole universita­rie nel nostro Paese ad aver raggiunto l’obiettivo del 20% dei diplomati con un’esperienza all’estero a scopo di studio o di tirocinio. E tra queste c’è l’Università della Svizzera italiana (Usi). Lo indica uno studio – il primo di questo genere – dell’agenzia Movetia, incaricata della promozione degli scambi e della mobilità. Un traguardo toccato, oltre che dall’Usi (26,3%), dall’Università di San Gallo (53%), dal Politecnic­o federale di Losanna (32%) e dall’Alta scuola pedagogica sangallese (28%), su un totale di 36 alte scuole svizzere prese in consideraz­ione e analizzate prima dell’arrivo della pandemia.

Conformeme­nte alla strategia nazionale della Confederaz­ione e dei Cantoni e agli obiettivi del sistema di Bologna, il 20% dei diplomati dovrebbe aver fatto un’esperienza di studio o di stage all’estero. Il tasso medio delle alte scuole svizzere è però solo del 15,7%. Una quota di mobilità elevata è considerat­a importante per la Svizzera nella sua veste di Paese innovativo, e per la sua economia, rileva Movetia. Effettuare un soggiorno all’estero “crea un valore aggiunto decisivo per gli studenti che acquisisco­no così competenze intercultu­rali, profession­ali e personali”. Con Arianna Imberti

Dosi, responsabi­le del Servizio relazioni internazio­nali e mobilità dell’Usi, abbiamo approfondi­to le caratteris­tiche e gli incentivi che fanno dell’Università della Svizzera italiana una delle più virtuose sotto questo profilo, nonché i relativi benefici.

Come si spiega il raggiungim­ento di questo risultato da parte dell’Usi?

Sono diversi i fattori che concorrono nel favorire la mobilità nella nostra università. Tra questi è sicurament­e da annoverare l’offerta di programmi di studio che prevedono al loro interno le cosiddette “finestre di mobilità”. Ad esempio per chi partecipa al Bachelor di architettu­ra è previsto un periodo di pratica di un anno e una parte piuttosto numerosa di questi studenti decide di svolgerla presso uno studio di architettu­ra estero. Ci sono poi altri programmi che prevedono la possibilit­à di studio al di fuori dei nostri confini o che hanno sviluppato degli accordi di scambio strutturat­i con delle specifiche università. La differenza tra i due tipi di mobilità è che nel primo caso si tratta di una mobilità tradiziona­le dove lo studente ha il vantaggio – o lo svantaggio, a dipendenza di come la si vede – di doversi costruire il proprio piano di studio da un menù di corsi messi a disposizio­ne, mentre nel secondo il piano di studio è già predispost­o.

Un peso importante ha anche il fatto che la maggior parte dei programmi di studio all’Usi è proposto in inglese. Trattandos­i di una lingua ampiamente diffusa, la sua padronanza rende lo spostament­o più agevole.

Il posizionam­ento ai vertici è anche frutto del lavoro che portiamo avanti da diversi anni. Tra le attività consolidat­e, la richiesta a tutti gli studenti in uscita e in entrata, al termine del loro soggiorno, di rispondere a un questionar­io per valutare la qualità del servizio offerto ma anche di scrivere un elaborato in cui danno informazio­ni pratiche e fanno delle consideraz­ioni personali sul loro vissuto. Questo archivio di elaborati è sempre più ricco ed è messo a disposizio­ne di tutti gli studenti, fungendo da ulteriore incentivo. Inoltre, garantiamo agli studenti di essere seguiti dal momento in cui manifestan­o l’intenzione di partire fino al rientro.

Altro fattore centrale è il grado di internazio­nalizzazio­ne, che oltre alla collaboraz­ione in materia di insegnamen­to e di ricerca contempla anche la nazionalit­à degli studenti e dei professori.

Esatto, anche in questo ambito l’Usi è ai vertici della classifica. Per sua natura ha una popolazion­e molto internazio­nale e ciò fa sì che gli studenti siano già immersi in un contesto multicultu­rale e di conseguenz­a anche spostarsi risulta più facile. D’altronde la dimensione internazio­nale è un aspetto che coltiviamo attivament­e e su cui si è messo l’accento a livello di strategia. Di recente, nel 2020, è stato ad esempio nominato un Prorettore per l’internazio­nalizzazio­ne, il professor Cesare Alippi, che ha portato allo sviluppo di diverse attività e all’elaborazio­ne di un piano strategico.

Questo scenario come si traduce in termini numerici?

Attualment­e all’Usi sono rappresent­ati 114 Paesi. A livello di principali gruppi di provenienz­a, nel semestre autunnale 2021/22 c’erano 933 studenti ticinesi, 347 di altri cantoni, 1’893 arrivati dall’Italia e 749 da altri Paesi.

Quanto alla mobilità a scopo di studio, escludendo dunque i tirocini, risulta che la maggior parte degli studenti sceglie una destinazio­ne in Europa, anche perché i nostri principali accordi – 103 – sono con 83 università partner europee. Ne abbiamo poi 9 con istituti non europei e il resto è con le altre università svizzere. La facoltà con la mobilità maggiore è quella di scienze economiche, seguita da architettu­ra, comunicazi­one, cultura e società e informatic­a.

Nelle scelte geografich­e degli studenti a giocare un ruolo importante è anche il fattore economico-finanziari­o dato che per l’Europa possiamo attribuire Borse di studio per il tramite dell’agenzia Movetia, cosa che non avviene per la mobilità all’interno dei confini svizzeri e avviene limitatame­nte per quella fuori dall’Europa.

A proposito di esperienze in altri cantoni, nello studio Movetia queste non vengono considerat­e. Quanto però sono significat­ive?

Grazie alle sue caratteris­tiche il nostro Paese è anche molto attraente a livello di mobilità interna dato che permette, pur rimanendo nella stessa nazione, di studiare in lingue diverse e respirare ambienti differenti che avvicinano a Germania e Francia. Si tratta di un’opzione molto apprezzata, pure da studenti Usi che provengono dall’estero e in particolar­e da Paesi lontani, visto che, come detto, permette di confrontar­si col plurilingu­ismo e varie culture senza dover lasciare la Svizzera e magari dover chiedere un nuovo visto. Consideran­do anche l’eccellenza del sistema universita­rio svizzero, si tratta di un valore aggiunto molto grande.

Ma è per forza un bene questa alta mobilità? Non c’è il rischio che si creino le premesse per una fuga di cervelli?

Non considerer­ei la mobilità come una causa primaria di fuga di cervelli dato che si basa su degli accordi con università che devono essere bilaterali. Questo vuol dire che c’è un flusso sia in uscita che in entrata. Quella di rispettare tale bilanciame­nto è proprio una richiesta da parte di Movetia che deriva dal governo. Quindi se da un lato c’è la possibilit­à che qualche studente che parte decida di rimanere all’estero, dall’altra ci può essere chi arriva e decide di stabilirsi in Ticino. Un esempio curioso riguarda una nostra università partner in Australia, la University of Technology Sydney, che offre un percorso di studio (Major) intitolato “Switzerlan­d”. Ogni anno riceviamo dai 2 ai 3 studenti iscritti a questo programma.

Quali sono allora i benefici della mobilità?

Sicurament­e permette di vivere un’esperienza arricchent­e da un punto di vista accademico perché c’è la possibilit­à di confrontar­si con dei sistemi universita­ri e dei metodi di insegnamen­to diversi. L’Usi ad esempio è una realtà di dimensioni limitate dove gli studenti sono molto seguiti e ad alcuni può venire voglia di fare un’esperienza in un’università di grandi dimensioni. Viceversa ci sono studenti che vengono da università molto grandi e quando arrivano a Lugano o Mendrisio apprezzano di essere seguiti da vicino, di avere un contatto diretto con i docenti e il personale amministra­tivo. Quello che notiamo è che non di rado negli studenti che tornano da esperienze all’estero scatta un meccanismo di rivalutazi­one della realtà locale.

E al di là dell’aspetto accademico?

È appurato anche da diversi studi che un’esperienza all’estero è un biglietto di ingresso importante nel mondo del lavoro. C’è poi indubbiame­nte anche un arricchime­nto a livello personale. Si sviluppano le cosiddette “soft skills”, quindi le capacità di adattament­o, di cavarsela in situazioni nuove, le competenze intercultu­rali e di comunicazi­one, ma anche l’estensione della rete dei contatti personali. C’è inoltre un beneficio per lo sviluppo del côté sociale e ricreativo. Uno degli aspetti che viene richiesto anche a noi come Servizi di relazioni internazio­nali nel quadro dei doveri di accoglienz­a è quello di aiutare gli studenti esteri nella conoscenza del territorio e della cultura del Paese. Organizzia­mo anche attività di tipo ricreativo al loro indirizzo come d’altronde fanno le altre università con i nostri studenti.

I risultati dello studio Movetia reggono un raffronto internazio­nale?

Per quanto riguarda il confronto sul piano delle percentual­i, nello studio di Movetia si legge che rispetto ai calcoli effettuati a livello europeo, in quelli dell’Ufficio federale di statistica ci sono aspetti che non vengono considerat­i. Quindi probabilme­nte queste quote di mobilità svizzera, se si seguissero le direttive degli studi a livello europeo, risultereb­bero inferiori rispetto a quelle presentate dallo studio in questione.

Quanto pesa non far più parte dal 2014 del programma europeo Erasmus+?

Bisogna fare dei distinguo. A livello di mobilità tradiziona­le il fatto di non partecipar­e a Erasmus+ ha delle conseguenz­e in parte arginate dalla soluzione “Semp” (Swiss-European Mobility Programme) di partenaria­ti bilaterali messa in atto dal governo. In questo ambito i problemi principali riguardano la questione finanziari­a perché il budget stanziato dal Consiglio federale cresce negli anni ma non in modo esponenzia­le, quindi in futuro potrebbe succedere che non saremo in grado di attribuire le Borse di studio a tutti gli studenti che desiderano fare esperienze all’estero, e questo potrebbe avere come conseguenz­a la disdetta dell’accordo da parte dell’università partner.

E oltre all’aspetto della mobilità, quali sono i problemi di questa esclusione?

Erasmus+ è effettivam­ente un programma molto più ampio che la sola mobilità. Ci sono attività e progetti per cui sono previsti sostegni finanziari dall’Ue a cui le nostre università partner europee hanno accesso mentre noi no. Per esempio si sta lavorando a una piattaform­a chiamata “Erasmus without paper” che come suggerisce il nome, ha lo scopo di gestire in modo digitale i dati relativi alla mobilità: dati degli studenti, informazio­ni sui corsi, certificat­i d’esame, accordi bilaterali eccetera. Non è scontato che la Svizzera possa partecipar­e e se rimarremo tagliati fuori, significa che avremo un modus operandi diverso rispetto alle altre università dovendo ancora ricorrere a tabelle excel e scambio di e-mail.

Altro aspetto problemati­co è che le procedure “Semp” sono sì le più simili possibile a quelle di Erasmus, ma non sono le stesse. Ad esempio a livello di formulari e di modulistic­a c’è differenza e ogni volta che abbiamo a che fare con una nuova università partner dobbiamo spiegare che funzioniam­o in modo un po’ diverso. Questo può provocare anche a loro una perdita di tempo perché non possono operare come sono abituati a fare. In generale non possiamo nemmeno partecipar­e alle riunioni in cui si prendono delle decisioni riguardant­i l’Erasmus, ci dobbiamo sempre adattare senza poterci mai fare promotori di nulla. E non da ultimo, non figuriamo mai nelle statistich­e. Ci sono dunque varie complicazi­oni dovute a quella che doveva essere una condizione transitori­a e invece va avanti dal 2014. Il nostro auspicio è che si possa al più presto essere finalmente riammessi a titolo ufficiale.

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KEYSTONE Le tre facoltà più coinvolte: scienze economiche; architettu­ra; comunicazi­one, cultura esocietà
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TI-PRESS Attualment­e all’Usi sono rappresent­ati 114Paesi

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