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Raccontars­i nella lingua adottiva

Il rapporto fertile fra lingua madre e lingua ‘ospite’ nei corsi del progetto di Babel Festival ‘L’altralingu­a’. Venerdì un incontro pubblico a Bellinzona.

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“La scrittura è uno degli strumenti principali per elaborare il nostro vissuto e comunicarl­o agli altri. Ma scrivere non è mai facile, tanto meno quando la lingua in cui dobbiamo farlo non è la nostra. Questa è la situazione di tanti profughi, esuli, espatriati e migranti mentre procedono attraverso le loro nuove vite nei loro nuovi Paesi verso le loro nuove lingue”, recita la presentazi­one ai corsi di scrittura e narrazione ‘L’altralingu­a’.

Tradurre l’intraducib­ile

La sala patriziale di Palazzo civico a Bellinzona ospita il 27 gennaio alle 18, un incontro gratuito nell’ambito del progetto ‘L’altralingu­a: corsi di scrittura e narrazione nella lingua adottiva’, una collaboraz­ione tra Babel Festival, Biblioteca intercultu­rale Bibliobaob­ab e Cooperativ­a Baobab. Oggi prendono la parola la scrittrice Ubah Cristina Ali Farah e alcuni partecipan­ti al laboratori­o. Oltre a loro, intervengo­no Letizia Fontana (responsabi­le di Bibliobaob­ab), Michela Trisconi (delegata cantonale all’integrazio­ne degli stranieri) e Matteo Campagnoli, direttore artistico di Babel. Con lui e Ali Farah ci siamo intrattenu­ti per parlare del progetto, alla sua seconda edizione.

Da settembre 2022, una quindicina di persone ha seguito il ciclo di incontri di scrittura e narrazione tenuto dalla scrittrice somalo italiana Ali Farah e che si conclude proprio in questi giorni.

Nata nei primi anni Settanta a Verona, Ali Farah è anche poetessa. Fino al 1991, anno in cui scoppia la guerra civile, cresce a Mogadiscio (in Somalia): considerat­o il difficile contesto, fugge dal Paese e ripara in Ungheria dove vive per alcuni anni. Si trasferisc­e in seguito in Italia, a Roma, mentre oggi vive e lavora a Bruxelles, capitale belga.

Sensibile al tema della migrazione, la scrittrice si è laureata in Lettere all’Università La Sapienza di Roma e in seguito ha svolto un dottorato in Africanist­ica sul teatro popolare somalo all’Università l’Orientale di Napoli. Per il suo lavoro – ‘Madre piccola’ (2007), ‘Il comandante del fiume’ (2014) e ‘Le stazioni della luna’ (2021) – è stata insignita del Premio Lingua Madre (2006) e del Premio Elio Vittorini (2008). Inoltre, l’autrice del racconto ‘La danza dell’orice’ (2020) sta lavorando al progetto ‘Oral history for peace building’ nell’ambito del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo.

Cresciuta bilingue («ho vissuto a Mogadiscio fino ai 18 anni, ma i miei studi li ho fatti in italiano; mia mamma è italiana»), la scrittrice ospite nel 2022 di ChiassoLet­teraria puntualizz­a che la riflession­e sulla questione linguistic­a in ambito migratorio la accompagna da sempre, soprattutt­o chiedendos­i: «Come tradurre l’intraducib­ile?». Il tema della complessit­à della traduzione è cruciale ed è emerso anche durante i laboratori bellinzone­si. Rendere fedelmente bagaglio e immaginari­o culturali delle proprie origini nella lingua adottiva non è un’operazione semplice, perché questa può difettare del lessico, così come dei concetti, delle tradizioni e usanze di una società: un esempio lampante sono i modi di dire. Essendo la lingua ricettacol­o culturale, la sua valorizzaz­ione acquisisce importanza nella conservazi­one della memoria, personale e collettiva. «È una parte fondamenta­le della propria identità, del pensiero» e non va perciò messa da parte.

Dalla prospettiv­a espressiva ha pure il suo valore: «Una sorta di scarto – non lo definirei un errore – si produce quando ci esprimiamo in una lingua che non è la nostra, ma cui si fa capo per colmare i “buchi” di quella adottiva, oppure sovvertend­one la sintassi tradiziona­le utilizzand­ola in modo diverso. Ecco quello scarto potrebbe avere un potenziale poetico molto interessan­te» da utilizzare per esempio nella narrazione.

I partecipan­ti a ‘L’altralingu­a’ sono molto diversi fra loro (per origini, età, formazione e competenze) e parlano anche tante lingue differenti. «Con Letizia e Beatrice di Baobab, abbiamo deciso di farli lavorare in piccoli gruppi con il supporto di una persona italofona. I testi sono quindi elaborati collettiva­mente». I temi dei contenuti di partenza sono basilari, una delle preoccupaz­ioni è quella di non andare a toccare argomenti sensibili che possano riesumare traumi, visto che alcuni dei partecipan­ti hanno alle spalle storie dolorose, chiarisce la scrittrice. «Abbiamo lavorato allora sui nomi propri e i loro significat­i, e sui miti fondatori, lavorando anche sulle immagini». Soprattutt­o, chiosa Ali Farah, è importante non creare una gerarchia delle lingue, facendo sì che quella materna lasci il passo a quella adottiva, che in un contesto migratorio è lo strumento di integrazio­ne. «La lingua madre è essenziale per sostenere la persona dal punto di vista identitari­o, soprattutt­o quando sta imparando quella del Paese ospite, una situazione in cui l’adulto si sente infantiliz­zato», ribadisce la scrittrice.

Condivisio­ne

Il percorso bellinzone­se non si è svolto unicamente alla presenza di Ubah Cristina, ma è stato continuati­vo: le operatrici di Baobab hanno coinvolto i partecipan­ti nel progetto di integrazio­ne ai laboratori chiamato ‘L’altralingu­a-fil-rouge’. «Un’iniziativa parallela, nata dallo stimolo lanciato da Babel», illustra con soddisfazi­one Campagnoli. ‘L’altralingu­a’ è un’iniziativa avviata nel 2021, ricorda il direttore artistico della manifestaz­ione di letteratur­a e traduzione, di cui si è svolta la diciassett­esima edizione lo scorso settembre. «Da sempre, Babel propone laboratori di traduzione letteraria, ma ci interessav­a anche poter lavorare con persone che stessero imparando le lingue nazionali, cercando di capire innanzi tutto se fosse un bisogno reale». Sondata l’esigenza e dopo alcuni corsi pilota, l’idea ha preso corpo. «Oltre a Ubah Cristina Ali Farah, che si è dedicata all’italiano, gli altri docenti dell’edizione 2022 sono lo scrittore svizzero di origini irachene Usama Al Shahmani per il tedesco e lo scrittore ivoriano Gauz per il francese», tutti loro hanno alle spalle un’esperienza migratoria, che è fra i criteri della selezione.

L’intento dei corsi – sostenuti dall’Ufficio federale della cultura, dal Programma d’integrazio­ne cantonale e dalla Stiftung Temperatio – è stato quello di creare quindi uno spazio d’incontro e condivisio­ne di storie per elaborare mezzi di comunicazi­one al fine di raccontars­i, «prendendo coscienza del proprio vissuto e valorizzar­lo».

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La scrittrice e poetessa somalo italiana Ali Farah ha lavorato con una quindicina di persone con una storia di migrazione

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