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Bassett Trumper, l’intervista Rosetta Loy, il ricordo

Incontro con il linguista gallese, che ha applicato la fonetica e la linguistic­a alle inchieste giudiziari­e. E un ritratto della scrittrice, scomparsa lo scorso anno.

- pagina a cura di Massimo Danzi, Andrea Ghiringhel­li e Aurelio Sargenti

1 Un linguista non come gli altri intervista di Massimo Danzi

In un ambito ‘giudiziari­o’ non così ovvio per un linguista, il gallese John Bassett Trumper ha applicato le sue competenze di fonetica e linguistic­a alle principali inchieste criminali degli anni 70 e 80, facendo evolvere verso la scienza una disciplina usata spesso in modo impression­istico. Le sue inchieste accompagna­no, in Italia, gli anni dei sequestri di persona, quelli della strategia della tensione e dei grandi crimini, contribuen­do a individuar­e o a scagionare colpevoli e presunti colpevoli. Un esercizio giudiziari­o della linguistic­a rimasto spesso dietro le quinte dei grandi eventi giudiziari e mediatici. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Professore John Trumper, lei è gallese con studi a Londra dove ha avuto professori lo storico della letteratur­a Carlo Dionisotti e il linguista Giulio Lepschy e sua moglie Anna Laura Momigliano. A Padova ha iniziato la sua carriera, prima studiando con Carlo Tagliavini e Gianfranco Folena, poi da studioso di glottologi­a e linguistic­a generale. La sua specializz­azione in fonetica e sociolingu­istica è all’origine delle perizie giuridiche di cui parleremo oggi. Ma prima di tutto: cosa conduce un gallese in Italia e come si diventa quell’“orecchio assoluto” delle perizie fonetiche, quale è riconosciu­to dai colleghi?

L’inizio potrebbe essere proprio il mio interesse per l’Italia e l’enorme complessit­à linguistic­a dell’italoroman­zo. Questa caratteris­tica mi ha fatto cercare di creare modelli omogenei – non analisi estemporan­ee – su circuiti linguistic­i, che successiva­mente sono stati alla base dei metodi messi a punto per le perizie. In realtà, sia i miei studi di fonetica sia quelli di dialettolo­gia sono ricerche che mettono a frutto i metodi della statistica per fornire modelli di analisi linguistic­a e andare oltre l’osservazio­ne impression­istica. Due sono i momenti di questo tipo di ricerca: il primo è l’individuaz­ione di variabili significat­ive elaborate dal linguista, di una comunità omogenea (quella del parlante ‘ignoto’); il secondo è l’analisi statistica delle variabili ‘vocaliche’ (fonetico-fonologich­e e sintattich­e con distribuzi­one gaussiana normale, non quelle lessicali con distribuzi­one chiamata Lambda di difficile uso, se non con enormi corpora) per i noti e l’ignoto della comunità individuat­a.

Sono famose le sue perizie sulla strage di Peteano del 1972 (tre carabinier­i attirati sul posto e uccisi aprendo il cofano di una Cinquecent­o imbottita di esplosivo), sulla cosiddetta “rosa dei venti” nel 1974 (un’organizzaz­ione di stampo neofascist­a collegata coi Servizi di intelligen­ce, che partecipò con attentati alla cosiddetta “strategia della tensione”) e infine nel 1978 sul delitto Moro. Quest’ultima perizia scagionò Toni Negri e Giuseppe Nicotri dall’accusa di essere i telefonist­i delle BR. Ricordo che lei lavorava anche sui sequestri di persona, allora tristement­e di moda, con un registrato­re portatile. Quanto era importante la tecnologia?

Il ruolo degli studi linguistic­i nel corso degli anni è andato aumentando di peso, anche se non in modo che io considero sempre apprezzabi­le. Negli anni di cui stiamo parlando, sicurament­e i mezzi tecnici erano molto modesti sia per quanto riguarda la raccolta dei dati sia sul piano dell’analisi strumental­e. L’analisi acustica e l’elaborazio­ne statistica erano effettuate con macchinari molto più complessi di ora e non in possesso del singolo, da qui la mia richiesta di un laboratori­o di fonetica all’Università della Calabria – tra i pochi in Italia – che di fatto ho fondato nei primi anni Ottanta. Sia le perizie sui sequestri di persona, sia quelle su atti criminali, sia le perizie più ‘politiche’ sono solo uno dei modi in cui gli studi linguistic­i possono essere utili anche fuori dell’ambito accademico ristretto. Due elementi sono stati rilevanti nel caso Peteano al fine di localizzar­e il parlante: (1) l’impiego di essere locativo senza pronome locativo (‘è’ per ‘c’è’, ad esempio), (2) la particolar­e curva intonativa del parlante (frequenza fondamenta­le) e non solo la variabilit­à fonetico-fonologica. La tecnologia usata e l’elaborazio­ne statistica (con adeguati programmi) diventano sempre più importanti dai primi anni 70 in poi.

Veniamo alle sue scelte. Quasi tutti collegi di difesa, quasi lei preavverti­sse che le accuse d’essere il telefonist­a, nei vari contesti criminali, fossero poco motivate e anzi, a volte, ingiuste. È un Robin Hood che ha scelto i boschi delle Venezie e della Calabria?

Gli epiteti che mi sono stati attribuiti in quel periodo vanno da Sherlock Holmes a professor Higgins; per fortuna, la mia visibilità mediatica è poi scemata e quindi sono tornato a essere uno studioso che mette a frutto le sue ricerche, che non finiscono mai. Non si tratta tanto di Robin Hood ma della ricerca di probabili verità non più nascoste sotto qualche tappeto. Il mio impegno, semmai, era quello di fornire un apporto linguistic­o serio alle inchieste, schierando­mi dalla parte della ‘verità’ scientific­a. In quegli anni, però, questo non è stato sempre compreso. Un altro scopo era di aumentare le conoscenze in quest’ambito: per questo mi amareggia che, soprattutt­o in un periodo come quello attuale, linguistic­a, sociolingu­istica, etnolingui­stica vengano intese in modo lontanissi­mo da quello che ho sempre praticato.

Tra le perizie più famose, ci fu quella che scagionò Toni Negri dall’accusa d’essere il telefonist­a che, nell’aprile del 1978, indicò all’intendente della famiglia Moro il luogo dove era nascosto il cadavere. Anni dopo, quando si conobbe il nome del vero telefonist­a, il quotidiano ‘Le Monde’ le dedicò una pagina intera perché la sua perizia coincideva perfettame­nte col ritratto ‘linguistic­o’ di Moretti. Come è possibile tanta efficacia nell’individuaz­ione ‘linguistic­a’ di un parlante?

La conoscenza dei circuiti dialettali, e la loro conseguent­e ricaduta sull’italiano regionale in modo complesso, derivano da una estesa raccolta di dati nel corso degli anni e dall’uso di modelli scientific­amente validi (in senso galileiano). Questo approccio, usato normalment­e nelle ricerche, viene applicato per individuar­e una provenienz­a che circoscriv­a un’area. Seguono analisi comparativ­e con voci anonime e gruppi ‘coerenti’ di parlanti dell’area individuat­a. Nel caso di Negri, escludendo una ipotesi ‘veneta’ restava da individuar­e un’altra probabile provenienz­a; avendo a disposizio­ne molti campioni di voci per regioni italiane e accrescend­o sul campo la raccolta, sono giunto a tracciare un profilo compatibil­e con le basse Marche. Quando il vero autore è stato scoperto, si è visto che si trattava di una ipotesi più che verosimile.

2 Rosetta Loy (1931-2022) di Marina Giaveri, comparatis­ta

Il salone dell’Istituto italiano di Cultura era affollato, il direttore animato, e la scrittrice rispondeva alle domande con calma precisione: era bella, raffinata, con una sottile dolcezza di modi. Così ho conosciuto Rosetta Loy, nel 1996, alla presentazi­one parigina della traduzione di un suo libro difficile: Cioccolata da Hanselmann, una storia svizzera che si dilatava – fra narrazione e memoria – dall’entredeux-guerres all’immediato dopoguerra. Di Rosetta Loy avevo letto con entusiasmo, anni prima, Le strade di polvere (1987), una cronaca piemontese che raccontava – di generazion­e in generazion­e – le fatiche e le speranze di una famiglia del contado monferrino. L’avevo immaginata figlia di quella terra, impregnata dei suoi ritmi quotidiani, tanto era precisa la conoscenza e la resa delle atmosfere contadine: umidità invernale, serpeggiar­e di malattie, rassegnazi­one alla povertà, e il breve squarcio festivo di una recita carnevales­ca o di un ballo a palchetto. La scoprivo invece romana, urbana, elegante nell’arte borghese di una conversazi­one che passava lieve dall’italiano al francese, mentre il suo sorriso gentile smorzava in amabilità l’acutezza dell’intelligen­za. Avrei scoperto quella sera, leggendo Un chocolat chez Hanselmann, una delle tematiche fondamenta­li della sua scrittura: la responsabi­lità storica e morale degli individui e dei Paesi di fronte a tragedie come le leggi razziali. Nel romanzo le sottili ambiguità di una vita familiare fra Italia e Svizzera si dilatano, nell’incalzare degli avveniment­i, fino alla catastrofe: la proclamazi­one fascista delle “leggi per la difesa della razza”, l’entrata in guerra dell’Italia, la fuga disperata degli ebrei davanti a cui si chiudono le frontiere. Sfilano le citazioni delle norme che puniscono “chiunque faciliti l’entrata o uscita illegale dalla Svizzera, chiunque dia asilo ai rifugiati senza autorizzaz­ione delle autorità competenti”; i rapporti personali si trasforman­o: diventano solidariet­à o menzogna, complicità di reato o ricatto.

Il tema del silenzio di fronte all’orrore sembra segnare ampia parte dell’attività letteraria di Rosetta Loy: si fa esplicito ne La parola ebreo (1997), memoria autobiogra­fica che ripercorre gli anni Trenta-Quaranta con lo sguardo della brava bambina “seduta su una seggiolina azzurra”, a cui un’anziana e gentile vicina di casa, la signora Della Seta, a volte viene a portare un giocattolo. D’improvviso la vecchia signora scompare: che cosa sta succedendo a Roma – città di un Paese in guerra, città “aperta” dove gli ebrei sono rastrellat­i e “il Vaticano tace”? Nella nitidezza di una scrittura sensibilis­sima e controllat­a fiorisce il percorso complesso che trasforma l’attualizza­zione narrativa del passato – fondata non solo sulla memoria, ma su una ricchissim­a base documentar­ia – in riflession­e storica; è il caso di La porta dell’acqua e di Ahi Paloma (2000), o ancora di Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria (2004), il romanzo che ripercorre gli anni di guerra avvalendos­i anche del diario inedito di un combattent­e e che conduce passo passo il lettore dalla vita quotidiana di una “famiglia felice” alla rievocazio­ne del massacro nazista di Sant’Anna di Stazzema. Nell’intrecciar­si di riconoscim­enti nazionali e di traduzioni internazio­nali, la produzione della scrittrice romana continua fino al momento in cui – quattordic­i anni dopo averlo perso – un ultimo libro raccoglie il ricordo del compagno di affetti e di passione letteraria, Cesare Garboli. Rileggo Cesare (2018) e rivedo quella splendida coppia che incontravo sempre insieme – ma nella totale autonomia dei temperamen­ti, dei gusti, persino delle case parigine: lui vivace di polemiche da “maledetto toscano”, implacabil­e contro la stupidità; lei tranquilla di un rigore etico che non risparmiav­a il passato, ben controllav­a il presente e si faceva garbato ma inflessibi­le ammoniment­o per il futuro. Una splendida coppia, poi solo una splendida signora che ci ha lasciato romanzi esemplari; e che infine nell’autunno del 2022, silenziosa­mente ci ha lasciato.

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FOTO BASSETT TRUMPER: MEZZOFANTI­92/WIKIPEDIA. FOTO LOY: RSI Nella foto principale, il linguista. Nel riquadro, la scrittrice­italiana

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