La scalata di Elliott al mondo digitale
Lo strano incrocio tra fondi e aziende tecnologiche
L’attacco del fondo Elliott Management a Salesforce colpisce tanto per la natura della preda – il leader mondiale del software per le imprese con una supremazia assoluta nell’area customer relation – quanto per l’identità dello “scalatore”: il fondo di Paul Singer è noto, oltre che per la sua avventura in Telecom Italia, soprattutto per l’acquisto, nel 2018, del Milan, poi rivenduto lo scorso anno. In realtà, benché criptico e indefinito negli obiettivi, l’annuncio del 22 gennaio dell’hedge fund – un investimento di miliardi di dollari nella società fondata nel 1999 da Marc Benioff – ha un significato chiaro: gli investitori “attivisti” dei fondi, rimasti relativamente tranquilli per alcuni anni, nel 2022 sono tornati all’offensiva in coincidenza con l’aumento del costo del denaro, il crollo dei valori borsistici e la riduzione della redditività delle imprese americane. E i gruppi presi più di mira sono quelli dell’economia digitale: corazzate ricchissime divenute improvvisamente vulnerabili perché, dopo la forte crescita durante la pandemia quando la gente confinata in casa usava molto di più le tecnologie informatiche, ora subiscono con maggior pesantezza la crisi. La flessione delle quotazioni delle aziende tecnologiche del Nasdaq è mediamente doppia rispetto a quella dell’indice S&P 500, termometro del sistema produttivo Usa. Elliott, fondo da 55 miliardi di dollari, investe in vari settori, tecnologia compresa: nel novembre 2021 Jack Dorsey dovette lasciare la guida di Twitter anche perché fiaccato da due anni di pressioni di Elliott che poi attaccò anche Pinterest (ottenendo un posto nel Consiglio d’amministrazione) e la società di cloud computing Citrix.
Bersagli e strategie
Non sorprende anche la scelta del bersaglio: Salesforce ha avuto successo ma, nonostante la rapida crescita del fatturato, gli utili sono stati in genere più contenuti rispetto agli altri big tech. Negli anni delle vacche grasse la società ha fatto acquisizioni costose (come Slack, pagata 27,7 miliardi) e ha continuato a spendere molto più degli altri giganti di Silicon Valley per il marketing senza sollevare grandi obiezioni. Ma ora che il clima economico è cambiato, è cambiato anche l’umore degli azionisti. Elliott non è stato il primo ad accorgersene: già a ottobre l’hedge Starboard Value ha acquistato una quota di Salesforce con l’obiettivo di obbligarla a una svolta nella gestione che ne incrementi la redditività. E il giorno dopo Elliott anche Inclusive Capital, un altro fondo attivista, ha reso noto di essere entrato nel capitale di Salesforce. Come in altri casi, ad attirare questi investitori è stato il calo dei valori di Borsa che consente di acquistare titoli a prezzi scontati. Dall’inizio del 2022 la società fondata da Benioff ha perso circa un terzo del suo valore: più non solo del comparto industriale nel suo complesso, ma anche di concorrenti come Oracle e Microsoft. Ma, a differenza di altri gruppi digitali, Salesforce è apparsa vulnerabile agli aspiranti scalatori anche dal punto di vista della governance: Meta-Facebook, ad esempio, ha perso molto più di Salesforce, addirittura più dei due terzi del suo valore, ma Mark Zuckerberg, messo sotto accusa per i 10 miliardi spesi ogni anno per un Metaverso ancora tutto da costruire, pur costretto a difendersi dagli attacchi degli attivisti licenziando 10mila dipendenti e tagliando gli investimenti, non rischia di essere rimosso: ha creato una struttura azionaria basata su titoli con e senza diritti di voto che gli garantisce il controllo del gruppo. Diversa la situazione in Salesforce dove Marc Benioff da domani sarà solo alla guida del gruppo: dopo il divorzio, tre anni fa, dal co-amministratore delegato, Keith Block, un ex manager di Oracle, ora arriva al capolinea anche il sodalizio con Bret Taylor, chiamato un anno fa a codirigere Salesforce. Ufficialmente una separazione consensuale, in realtà ci sono stati dissidi sul modo di gestire la società, con l’irritazione di Benioff per il molto tempo dedicato l’anno scorso dal suo co-ceo – che era anche presidente di Twitter – alla difesa del social dall’attacco di Elon Musk e, poi, a spingere il fondatore di Tesla ad acquistarla comunque, a un prezzo esorbitante.
Vuoto al vertice
In ogni caso l’uscita di Taylor lascia un vuoto al vertice: ghiotta opportunità per gli attivisti. Per ora Elliott cerca di non enfatizzare la natura ostile del suo ingresso in Salesforce: Jesse Cohn, partner del fondo, ha manifestato rispetto per Benioff auspicando di poter agire d’intesa con lui per valorizzare di più e la società. E lo stesso Benioff (dopo aver cercato di costruire una cultura aziendale basata sul concetto di ohana, collaborazione in stile familiare secondo il termine appreso alle Hawaii) ora riconosce di aver commesso qualche errore e passa a una gestione meno rilassata: il 4 gennaio ha licenziato il 10% dei dipendenti (ottomila) e ha spiegato che, quando c’è stata una rapida crescita, durante la pandemia, sono state fatte troppe assunzioni. Nel rinnovato attivismo di questi fondi molti vedono un’inversione di rotta rispetto alla spinta per un capitalismo più democratico. Ma è anche vero che se, dopo i leader visionari che le hanno lanciate, Apple e Microsoft sono andate a due manager capaci (Tim Cook e Satya Nadella) che ne hanno moltiplicato il valore, ciò è dipeso anche dalla pressione degli attivisti: Carl Icahn per Apple, Mason Morfit di ValueAct per Nadella.