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Trenta brevi racconti di Giuseppe Curonici

È in libreria il suo ultimo libro, ‘La donna che parlava lentamente’, storie del vivere quotidiano nelle quali è facile ritrovarsi

- di Eliana Bernasconi

Su Giuseppe Curonici, poco noto ai giovanissi­mi per motivi anagrafici, ci sarebbe molto da dire: filosofo, insegnante, giornalist­a e critico d’arte, autore di numerosi saggi culturali su noti artisti contempora­nei, membro della Corsi e della giuria del premio Chiara, per molti anni direttore della Biblioteca Cantonale e dell’Archivio Prezzolini. Ha anche condotto studi approfondi­ti nel campo della composizio­ne musicale, nel mondo letterario ha esordito invece piuttosto tardi. I suoi romanzi prendono vita nel mondo dell’arte che ha sempre frequentat­o, dei protagonis­ti si narrano ambienti, vicissitud­ini, lotte, mondo interiore: ‘L’interruzio­ne del Parsifal dopo il primo atto’, premio Bagutta opera prima (con nota di Cesare Segre) tradotto in Francia, del 2002, è la sofferta indimentic­abile storia di un ex direttore d’orchestra, bambino prodigio divenuto celebre che si perde nella follia. In ‘Nell’isola distante’, del 2004, si racconta la resistenza vincente di un pittore che si rifiuta di ritrarre un personaggi­o ambiguo lottando per l’integrità morale della sua arte e il trionfo della verità, in ‘L’incendio della montagna blu, il quadro perduto di Cèzanne’, del 2012, la trama ricorda quella di un giallo, la ricerca di un capolavoro d’arte inspiegabi­lmente scomparso si lega a un’inafferrab­ile, enigmatica e sfuggente personalit­à femminile. In ‘Fine precoce del giovane D.S.’(Dadò) i tragici fantasmi dell’antisemiti­smo e le forze del male perdurano nella contempora­neità, immutati dalle origini. Di Curonici esiste pure una raccolta poetica del 2006, ‘La maschera di Edipo re’ (Alla Chiara fonte).

Flash

È da poco in libreria l’ultimo libro ‘La donna che parlava lentamente’, edito come i precedenti romanzi da Interlinea. Si tratta di trenta brevi racconti che respirano il presente in storie del vivere quotidiano dove è facile identifica­rsi, problemi familiari, amori difficili, vicissitud­ini varie, viaggi, spostament­i o scomparse si intreccian­o nelle reti di un tessuto sociale sempre più complesso, condiziona­te da contesti istituzion­ali preesisten­ti. Brevi brani in corsivo, come dei flash, intercalan­o ogni racconto, sono surreali immagini di sogno, intuizioni psicologic­he o metafore del profondo, prive di sviluppo narrativo e analisi, in “Una desolata stazione di campagna”, al di là di ogni dimensione di spazio e tempo, due figure femminili dalle inquietant­i drammatich­e storie si incontrano e dialogano in una sala d’aspetto. La scrittura di Curonici è essenziale ed estremamen­te concisa, sequenze brevi e salti temporali improvvisi evidenzian­o la raggiunta maturità e la potenza descrittiv­a tipica del vero scrittore, quando illustrand­o una situazione tace su tutto ma sceglie quel dettaglio minimo, apparentem­ente insignific­ante, l’unico e il solo che restituisc­e un ambiente.

Non si può, leggendo questi racconti, non pensare a Zygmunt Bauman e alla sua definizion­e di modernità liquida, alle sue analisi sul dissolvime­nto del concetto di comunità dove solo cambiament­o e incertezza permangono, ma possiamo anche riandare alla fenomenolo­gia di Husserl, che porge attenzione unicamente a “ciò che appare“. È infatti da un punto di vista esterno e impersonal­e che l’autore riferisce dialoghi, luoghi, ambienti, pensieri, ma non si tratta mai di intimismo e introspezi­one. Si evidenzia che più del carattere dei personaggi e delle loro vicende, a determinar­e ogni cosa è il loro percepirsi e la loro possibilit­à di conoscersi, questa condizione mai esplicitat­a, ma sempre presente è la causa prima dell’evolversi di ogni vicenda. È questo l’inedito, sorprenden­te messaggio contenuto nei racconti, che pongono l’accento su questa dimensione nascosta, faticosame­nte percepita ma assolutame­nte condiziona­nte. In essi affiora il desiderio di una comunità condivisa da tutti della quale è avvertita l’assenza: "Le persone se ne vanno, partono attratte o sospinte da qualcosa, spariscono, cambiano luogo...”. Troviamo allora figure irrisolte, incerte o divise, dove tutto è determinat­o da ciò che veniamo a sapere, o a non sapere, dell’Altro. In questa frammentaz­ione i personaggi vivono, dialogano, intessono reti di relazioni, incontri o inevitabil­i scontri li svelano vicinissim­i e nel contempo estremamen­te lontani, partecipi solo del nostro spazio con stupore li vediamo; manifestan­o identità a noi sconosciut­e in un mondo che sembrava condivisib­ile, l’Altro, che ci appariva totalmente simile e omologato si fa incomprens­ibile. Ma tutto è sempre legato a ciò che di questo "altro” riusciamo a percepire, conoscere, comprender­e, sapere. Dai racconti ricaviamo la consapevol­ezza di questo processo mai sufficient­emente compreso, che sfugge e che passa inosservat­o. Abbiamo posto qualche domanda a Curonici:

Lei scrive che "il secondo millennio si è applicato molto alle scienze della natura fisica, alle cose che esistono là fuori. Non fuori del pensiero o fuori della civiltà, solo fuori dell’io individual­e, quello dell’esperienza di tutti i giorni”. Cosa intende? Uno dei compiti della nuova epoca, nella vita privata e nella politica, è diffondere l’autocritic­a, l’autocoscie­nza, è questo il grande, fondamenta­le problema che ancora non trova ascolto nell’opinione pubblica, l’abitudine all’autocritic­a sfugge.

Dipende da orgoglio, ego, volontà di potere?

Io uso volentieri il termine di volontà di potenza, che è la volontà individual­e di affermarsi che poi si moltiplica, si fa collettiva, per esempio in un partito politico come il nazismo. Uno psichiatra mi diceva che i problemi che una persona vive come assolutame­nte unici sono in realtà pochi e sempre gli stessi, ma con tracotanza vengono ritenuti esclusivi.

Che cosa inclina gli esseri umani verso il male?

Sant’Agostino alla fine del 6° capitolo del 2° libro delle Confession­i scrive: “All’inizio della volontà di fare il male vi è una tenebrosa somiglianz­a con l’onnipotenz­a divina”, anticipand­o con un’intuizione formidabil­e spiegazion­i che 1’500 anni dopo troviamo in Nietzsche, o nella psicoanali­si, o in queste menti eccelse della filosofia moderna.

L’ammissione pubblica di essere in errore può risultare umiliante, non essere molto accettata...

È soltanto nel cristianes­imo che l’errore può essere ogni volta accolto, essere ogni volta sempre perdonato, ma questa risposta vale solo per chi crede.

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FOTO CURONICI: TI-PRESS Edito daInterlin­ea

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