Verso l’autunno del gigante asiatico
Dopo aver prodotto per anni un terzo della crescita mondiale, la fine del boom economico cinese potrebbe diventare a breve un problema globale
La Cina rimpicciolisce. Quattro decenni che hanno cambiato il mondo – per lo più in meglio – sono alla fine. La crescita più straordinaria della storia, per dimensione e velocità, è entrata in una stagione nuova: il 2023 è stato l’anno che ha certificato il passaggio e nel 2024 forse capiremo se il gigante asiatico è entrato in una pausa oppure se è entrato in un autunno.
Che il fenomeno cinese dovesse prima o poi rallentare era inevitabile: via via che si diventa grandi, crescere ancora è più difficile. Ciò che non era inevitabile è stato il dietrofront rispetto alla traiettoria benefica iniziata con l’apertura al mondo delle riforme di Deng Xiaoping alla fine degli Anni Settanta del secolo scorso. Il leader attuale, Xi Jinping, è salito al potere del Partito Comunista nel 2012 ma solo oggi si registra pienamente la svolta regressiva che ha imposto. Anche per quel che riguarda l’economia, per quattro decenni la Cina è stata pensata come il sole dell’avvenire. Non lo è più: siamo in un mondo diverso.
Al World Economic Forum di Davos, la settimana scorsa, il primo ministro cinese Li Qiang ha fatto sapere – un giorno prima che ciò fosse comunicato a Pechino con l’ufficialità dovuta a dati rilevanti per il mercato – che il Pil del Paese è cresciuto del 5,2% nel 2023. Sembra un buon risultato, dal momento che si tratta dello 0,2% in più dell’obiettivo stabilito dal governo. In realtà, non è proprio così. La crescita dell’anno scorso è la più bassa dagli Anni Novanta (se non si considerano il periodo della pandemia da Covid) ed è calcolata su un anno, il 2022, in cui era stata già bassissima, il 3%. In più, il sistema di rilevamento statistico cinese lascia dubbi sulla sua affidabilità: alcune società di ricerca hanno calcolato che la crescita dell’anno scorso potrebbe essere stata del 3% o anche meno. Inoltre, c’è un dato del quale si è parlato e scritto poco, sempre riferito al Pil del 2023.
Se calcolata in dollari e non in yuan, la crescita cinese non si registra, anzi si legge un calo: da 17’900 miliardi di dollari a 17’700. Non si tratta di una riduzione dell’attività economica, l’effetto è dovuto al rafforzamento della valuta americana rispetto a quella cinese. Già quest’anno la tendenza potrebbe rovesciarsi. Ma il dato è comunque significativo perché solleva il dubbio sulla possibilità del Pil cinese di superare, nei prossimi anni, quello americano (in termini nominali in dollari): possibilità che era data per scontata fino a non molto tempo fa.
Cambio di stagione
A indicare il cambio di stagione cinese non è però tanto l’andamento dell’economia nel 2023. Ci sono due fattori potenti che lo indicano. Uno strutturale e uno politico. Il primo è la demografia. Per la seconda volta, il 2023 è stato un anno di declino della popolazione cinese, non succedeva da sessant’anni: un calo di oltre due milioni di persone, in parte dovuto a una maggiore mortalità causata dalla fine improvvisa dei lockdown da Covid e in parte alla diminuzione della natalità innescata dalla politica del figlio unico imboccata negli Anni Ottanta e ora difficilissima da rovesciare. Le previsioni demografiche delle Nazioni Unite proiettano il numero degli abitanti a fine secolo attorno ai 750 milioni: quasi la metà degli 1,4 miliardi di oggi. Si tratta di calcoli che possono essere smentiti ma di certo il declino della popolazione cinese potrebbe essere eccezionale. Di certo, è destinato a continuare e ad accelerare con il passare degli anni. Con effetti negativi sulla crescita dell’economia: la Cina ha poco più di un decennio per sorpassare il Pil degli Stati Uniti, dopo non le sarà più possibile. E anche se riuscirà a farlo a metà degli Anni Trenta sarà poi superata di nuovo dagli Usa che hanno una demografia migliore, oltre che una produttività più alta. Fondamentalmente, infatti, la crescita economica è data dall’aumento della popolazione e dall’aumento della produttività. Se sul primo pilastro la Cina è in restringimento, sul secondo è in difficoltà crescente: la produttività cresce poco. E qui si viene al secondo fattore che ha innescato il cambiamento di prospettiva del Paese.
Al potere da più di dieci anni e confermato per altri cinque e forse più, Xi ha imposto una svolta alla politica di apertura e di integrazione della Cina nel mercato mondiale. Svolta che è diventata chiara negli ultimi tempi. Se prima lo sviluppo dell’economia era in testa alle politiche del Partito e dello Stato, ora la priorità è data alla «sicurezza», cioè all’apparato politico-militare. Significa che le imprese private, cinesi o estere, sono più di prima penalizzate rispetto a quelle di Stato; che il Partito Comunista organizza, nelle aziende, cellule che spesso interferiscono con le scelte imprenditoriali; che le autorità reprimono businessmen e settori industriali quando diventano troppo potenti, come nel caso delle società hi-tech; che la ricerca scientifica ha meno rapporti internazionali; che i dati economici, fondamentali per chi investe, sono sempre meno trasparenti quando non nascosti (come quelli del numero di giovani disoccupati); che è più facile essere accusati di attività anticinesi in base a una nuova legge sullo spionaggio.
Gli effetti
Il risultato è che fare impresa è diventato più difficile e più rischioso. Ciò ha cambiato il modo di vedere la Cina a livello internazionale, sia per le multinazionali che investono nel mondo e che scelgono sempre più spesso destinazioni diverse, sia per gli investitori meno positivi che in passato sulle prospettive dell’economia (l’anno scorso i listini di Borsa Csi 300 e Hang Seng sono scesi rispettivamente dell’11,8 e del 14%). A ciò si aggiunge lo sgonfiamento in corso della bolla immobiliare che è stata il volano centrale del boom cinese: il settore vale tra un quarto e un terzo del Pil. Non sembra che Xi e i vertici del Partito siano intenzionati a tornare sulla strada abbandonata.
La Cina ha prodotto per anni un terzo della crescita mondiale: la fine del suo boom economico è un problema per tutto il mondo. Il gigante che ha dato il segno a quattro decenni di economia, che è stato uno dei cuori della globalizzazione si sta restringendo. Sembra più un autunno che un rannuvolamento.