Niente di nuovo sul fronte hollywoodiano Tutto come previsto, senza incidenti e senza guizzi: gli Oscar sono tornati a celebrare il grande cinema. E a guardare con un po’ di diffidenza le novità
Si è tenuta la 96ª cerimonia degli Academy Awards. E ripensando a quanto accaduto durante la Notte degli Oscar, a chi è stato premiato e chi no, ai discorsi e agli annunci vari, si ha quella fastidiosa impressione di essere stati un po’ turlupinati.
Non è la sensazione di quando apri la scatola dell’ultimo smartphone e ci trovi dentro un mattone, però è come quando ordini online quel prodotto fighissimo e utilissimo e a casa ti arriva un affare che funziona e sembra anche solido, ma non ha granché a che vedere con quel che ti aspettavi.
Ecco, gli Oscar 2024 ci erano stati presentati, nei tanti articoli letti negli scorsi giorni, come quelli in cui ‘Oppenheimer’ poteva raggiungere e magari superare ‘Ben Hur’, ‘Titanic’ e ‘Il signore degli anelli’ per numero di premi; quelli del primo Oscar a un’attrice nativa americana, Lily Gladstone; quelli in cui l’acuta satira sull’ossessione per l’inclusività di ‘American Fiction’ avrebbe potuto conquistare uno dei premi principali; quelli di un giusto riconoscimento per due registi innovativi quali sono Yorgos Lanthimos e Jonathan Glazer. C’era anche chi aveva anche sperato in un Oscar per il miglior film internazionale a ‘Io capitano’ di Matteo Garrone, ma senza molta convinzione; più realistico aspettarsi qualche dichiarazione fuori programma sul conflitto a Gaza e, perché no, anche qualche bell’incidente da riguardarsi su YouTube come il pugno di Will Smith al presentatore Chris Rock due anni fa o, nel 2017, lo scambio di buste che ha temporaneamente incoronato ‘La La Land’ miglior film al posto di ‘Moonlight’.
Apri la scatola e…
I 96th Academy Awards hanno visto ‘Oppenheimer vincere ma non stravincere, con sette statuette (per capirci: le stesse di ‘Shakespeare in Love’) tra cui quella di miglior regista per Christopher Nolan (alla buon’ora, verrebbe da dire); l’Oscar per la miglior attrice protagonista l’ha meritatamente vinto Emma Stone per ‘Povere creature’, unico premio importante conquistato dal film di Yorgos Lanthimos (con tutto il rispetto per i riconoscimenti “tecnici” per costumi, trucco e scenografia); ‘American Fiction’ è arrivato alla cerimonia con cinque candidature, tra cui miglior film e migliori attori protagonista e non protagonista, ricevendo solo il premio per la miglior sceneggiatura non originale.
Giusto nella categoria “film d’animazione” c’è stato un piccolo sussulto, visto che a essere premiato non è stato un film Disney come capita solitamente, e neanche una produzione statunitense. Ma l’Oscar è comunque andato a un maestro del cinema d’animazione, il giapponese Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli, con il semi-autobiografico ‘Il ragazzo e l’airone’.
Jonathan Glazer con il suo inquietante ‘La zona d’interesse’ ha vinto l’Oscar per il miglior film internazionale e quello per il sonoro: un altro premio tecnico, per quanto meritato visto l’importante ruolo del suono nel suo film. Nel suo discorso di ringraziamento Glazer – cittadino britannico di origini aschenazite – ha citato sia le vittime degli attacchi del 7 ottobre in Israele sia quelle dell’attacco in corso nella Striscia di Gaza, richiamandosi alla disumanizzazione dei campi di sterminio nazisti al centro di ‘La zona d’interesse’; un discorso forte e sentito, interrotto dagli applausi del pubblico, ma che rientra nei limiti dell’istituzionalità. Intenso, ma di nuovo perfettamente regolamentare, anche il premio per il miglior documentario a ‘20 giorni a Mariupol’, spietato resoconto della distruzione della città ucraina sulla linea del fronte dell’invasione russa, girato da reporter della Associated Press Mstyslav Chernov (“probabilmente sarò il primo regista su questo palco a dire che vorrei non aver mai fatto questo film”, ha dichiarato), Michelle Mizner e Raney Aronson-Rath. Rassicurante anche la conduzione di Jimmy Kimmel, incentrata sull’evitare incidenti e situazioni imbarazzanti – e sì che, tornando a come questi Oscar 2024 erano stati pensati, il suo spot della cerimonia prometteva bene, con una non proprio velata critica all’esclusione di Greta Gerwig dai candidati alla miglior regia per ‘Barbie’. Qualche momento divertente c’è stato, durante la lunga cerimonia: il serafico annuncio di Al Pacino per il miglior film, il siparietto – difficile trovare nomi più altisonanti – di Arnold Schwarzenegger e Danny DeVito e quello di Emily Blunt e Ryan Gosling, la canzone ‘I’m just Ken’ cantata sempre da Gosling, il wrestler e attore John Cena in costume adamitico, il cane di ‘Anatomia di una caduta’ che fa la pipì su Matt Damon (no, non sull’attore, ma sulla stella a lui dedicata sul Walk of Fame). E se tra i momenti da ricordare di questi Oscar c’è un cane che fa quello che è naturale che facciano tutti i cani, vuol dire che è andato tutto liscio. Fin troppo liscio.
Gli Oscar di una volta
Niente incidenti e niente premi che non siano ampiamente e prevedibilmente meritati. E del resto il senso degli Oscar è proprio questo, a partire dalla cena privata che nel 1929 – poco prima della Grande depressione – segnò l’inizio di questa grandiosa autocelebrazione dell’industria cinematografica riunita sotto l’egida dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, i cui membri votano candidati e vincitori. E le celebrazioni sono intrinsecamente conservatrici: vivono per esaltare lo statu quo, non per sovvertirlo.
Gli Oscar sono quelli che, dovendo scegliere tra ‘Com’era verde la mia valle’ di John Ford e ‘Quarto potere’ di Orson Welles, danno al primo i premi principali riservando al secondo giusto il riconoscimento per la miglior sceneggiatura – e non è un caso, ma una scena ricorrente. La cosa potrebbe anche andar bene così, in una sorta di divisione dei ruoli: gli Oscar – e i premi analoghi delle varie accademie nazionali – per lo statu quo, altre realtà come i festival per valorizzare e la ricerca e la sperimentazione. Solo che lo statu quo non è più quello di una volta e giustamente si chiede agli Oscar di adeguarsi, di meglio rappresentare una società sempre più diversa.
L’Academy, dopo polemiche e qualche scandalo, ci sta arrivando e si è aperta non solo a gruppi sottorappresentati ma sta anche diventando sempre più internazionale, con tutto quel che comporta per le diverse sensibilità cinematografiche. Nelle ultime premiazioni si sono visti alcuni segni di questo parziale rinnovamento. Non nel 2024: quest’anno gli Oscar sono tornati quelli di una volta, pronti a celebrare un cinema bello, emozionante e classico ma un po’ a disagio di fronte a qualcosa di anche solo vagamente nuovo. Vedremo cosa accadrà nei prossimi anni.