Secondo tentativo con un Paese terzo
Il Consiglio degli Stati vuole accordi di transito per poter trasferire i richiedenti eritrei respinti. Petra Gössi (Plr): non dobbiamo arrenderci all’impotenza
L’idea è questa: concludere un accordo di transito con un Paese terzo per trasferirvi i richiedenti asilo eritrei la cui domanda è stata respinta in Svizzera e che, in teoria, dovrebbero lasciare la Confederazione. Lo scorso anno il Plr era riuscito a farla passare alla Camera dei Cantoni. Poi però a dicembre è arrivato lo stop, di misura (96 a 91), da parte del Nazionale. Fresca di elezione al Consiglio degli Stati, Petra Gössi (Plr/Sz) ha subito rilanciato. Una sua mozione pressoché analoga (vedi sotto) è stata accolta ieri con 26 voti a 16 (la sinistra, più la verde-liberale Tiana Angelina Moser, oltre che tre ‘senatrici’ e un ‘senatore’ del Centro), contro il parere del Consiglio federale. Il dossier va ora al Nazionale. ‘laRegione’ ha incontrato al termine del dibattito la ex consigliera nazionale, nonché ex presidente del Plr.
Niente di nuovo, o di creativo: la via è già stata battuta in passato; e non ha funzionato. Questo ha detto in sostanza il consigliere federale Beat Jans (Ps). Petra Gössi, perché la pensa diversamente?
Un accordo di transito con un Paese terzo per facilitare il rinvio di richiedenti asilo respinti è già stato tentato circa 20 anni fa, col Senegal. Nella situazione attuale, è politicamente opportuno riprovarci.
Allora non se ne fece nulla, però: quell’accordo alla fine il Senegal lo respinse. Perché adesso dovrebbe funzionare?
Il progetto non andò in porto per ragioni politiche. Nella risposta a una mozione analoga di Damian Müller (Plr/Lu), lo scorso anno il Consiglio federale motivava invece il suo rifiuto adducendo soprattutto problemi di natura giuridica. Adesso si tratta dimostrare che anche su questo piano la proposta è realizzabile. La maggioranza, sorprendentemente chiara, ottenuta dalla mia mozione al Consiglio degli Stati dimostra quanto sia importante che il governo si impegni in questa direzione.
Quali Paesi terzi ha in mente?
Se anche il Nazionale approverà l’atto parlamentare, spetterà al Consiglio federale individuare rapidamente un Paese terzo. In un primo tempo l’accordo si applicherà soltanto ai cittadini eritrei con domanda d’asilo respinta. In seguito si vedrà. La cosa importante è che adesso si faccia un primo passo.
Il problema non sta tanto nel trovare un Paese terzo disposto a farsene carico. Se l’Eritrea continuerà a non voler riammettere i suoi cittadini respinti da altri Paesi, un accordo del genere sarebbe verosimilmente inutile. Difficile credere che la rappresentanza eritrea nel Paese terzo rilasci un documento d’identità che consenta a queste persone di rimpatriare.
Sarà difficile, non lo nascondo. Una soluzione non è a portata di mano. Ci sono voluti 16 anni di trattative per siglare l’accordo di libero scambio con l’India. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta.
Daniel Jositsch (Ps/Zh) ha parlato di «strumenti populisti». Non teme che il suo partito diventi una brutta copia dell’Udc, continuando a rincorrerla sul suo terreno?
No. Daniel Jositsch ha anche detto di capire che qualcosa vada fatto. Ma non ho sentito proposte costruttive da parte sua o di altri. Sono per una politica d’asilo dura, ma corretta. E corretta deve essere anche nei confronti della popolazione. Se i presupposti per la permanenza in Svizzera di queste persone non sono dati, allora la politica è obbligata a cercare altre vie. E se non possiamo costringere l’Eritrea a riprendersi i suoi cittadini, non ci resta che tentare di individuare un Paese terzo disposto a collaborare. Cosa c’entra questo con il populismo, non lo so.
Non è politica simbolica, la sua?
No. La pressione della popolazione cresce ed è palpabile, anche nel mio cantone [Svitto, ndr]. Il Consiglio federale deve tenere conto di questa diffusa preoccupazione e fornire delle soluzioni, se non si vuole che la situazione peggiori ulteriormente. Il problema è che i richiedenti asilo respinti provenienti dall’Eritrea non possono essere rimpatriati contro la loro volontà, poiché il loro Paese non accetta i rinvii coatti [non solo dalla Svizzera, ndr]. Queste persone [erano 309 a fine 2022 e 278 a fine 2023, ndr] sono obbligate a partire, non hanno il diritto di restare in Svizzera. Però la maggior parte di loro si rifiuta di rientrare volontariamente in patria. Finora siamo rimasti pressoché inermi di fronte a questa situazione, persino ai regolamenti di conti nella comunità eritrea dei quali si sono resi protagonisti alcuni facinorosi. Non possiamo semplicemente arrenderci all’impotenza.