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‘Rosy’ nella piccola biblioteca del crimine

La strage di Erba, oggetto di revisione processual­e, è al centro del secondo romanzo di Alessandra Carati, finalista al Premio Strega 2022

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di Martina Parenti

Nel 1956 Meyer Levin con il suo ‘ Compulsion’ sanciva un nuovo genere letterario, trasforman­do il racconto dell’omicidio di un bambino in una travolgent­e cronaca giudiziari­a. I due ricchi imputati diciottenn­i, Nathan Leopold e Richard Loeb, dichiararo­no di averlo fatto per compiere il delitto perfetto. Il processo, svoltosi nella Chicago degli anni 20, fu un evento clamoroso in cui giudici, avvocati di accusa e difesa e imputati diedero prova di incredibil­i abilità retoriche. Nel 1965 Truman Capote pubblicava ‘A sangue freddo’, reportage incentrato sul quadruplic­e omicidio di una famiglia in Kansas. Il suo romanzo ottenne subito un successo spaventoso, eclissando quello del suo predecesso­re. Nel 2000 Emmanuel Carrère pubblicava ‘L’avversario’, romanzo capolavoro frutto della sua corrispond­enza con Jean-Claude Romand, l’uomo che uccise moglie, figli e genitori quando la grande menzogna attorno a cui aveva impostato la propria esistenza stava per essere scoperta.

In questa piccola biblioteca del crimine andrebbe inscritto anche il caso di Pierre Rivière, l’idiota del villaggio che nel 1835 trucidò madre, sorella e fratellino per salvare il padre dalle angherie della moglie. Dichiarò le sue ragioni in una lunga e sgrammatic­ata confession­e, ripresa negli anni 70 dal filosofo Michel Foucault e dai suoi studenti per redigere una più ampia analisi sul rapporto tra individuo e istituzion­i.

Il dubbio

‘Rosy ’, il secondo romanzo della finalista al Premio Strega 2022 Alessandra Carati, è senza dubbio figlio e nipote degli autori sopracitat­i. Ma con una grossa, sostanzial­e differenza: contrariam­ente a ciò che avviene nelle cronache dei suoi illustri predecesso­ri, qui la scrittrice mette in dubbio il corretto svolgiment­o del processo, ripercorre­ndo con precisione una vicenda sanguinosa, che in Italia fece molto scalpore per la sua efferatezz­a.

Il libro nasce dai colloqui intercorsi nel carcere di Bollate dal 2019 al 2020 con Rosa Bazzi, condannata all’ergastolo insieme al marito Olindo Romano per la strage di Erba, in cui furono barbaramen­te assassinat­i Raffaella Castagna con il suo bambino, la madre di lei e due vicini di casa accorsi in soccorso. I due coniugi, dopo un lungo e serrato interrogat­orio, confessaro­no gli omicidi, incoraggia­ti dalla prospettiv­a di un sostanzios­o sconto di pena in caso di collaboraz­ione con le indagini e intimiditi dal sicuro ergastolo prospettat­ogli.

Carati non si limita a parlare con Rosa. Riprende in mano le carte del processo, accede a registrazi­oni, testimonia­nze, intercetta­zioni interpella­ndo gli avvocati e parlando con chi quel caso l’ha vissuto da vicino. Ciò che emerge è un quadro inquietant­e: prove sostanzial­i pare che non ce ne siano. I documenti che metterebbe­ro in dubbio la colpevolez­za degli imputati non vengono ammessi al processo. Resta la confession­e dei due che, nella versione originale qui riportata attraverso la parziale trascrizio­ne degli audio, risulta contraddit­toria e piena di errori. Con gli stessi strumenti usati da Levin, Capote e Carrère la scrittrice fa una cronaca giudiziari­a precisa, riuscendo a restituire, nella scansione dei fatti accaduti ormai 17 anni fa, il ritratto di una coppia simbiotica, isolata, che ha trovato nella vita insieme il modo per compensare i propri deficit. L’ultima parte del libro, meno incisiva e forse in parte superflua, è dedicata a lei, Rosa/Rosy, che inchioda Alessandra Carati al racconto della sua storia con una stretta di mano valida come contratto, perché lei “non sa leggere né scrivere”. Ciò che è davvero interessan­te nell’operazione non è tanto la voce di questa donna, quanto la vicenda di cui è diventata protagonis­ta. La sua è una vita come tante a cui si aggiungono una sofferenza psichica e una difficoltà intelletti­va che trasforman­o le conversazi­oni in un flusso disomogene­o e spesso confuso. Carati si mette comunque al suo servizio, la ascolta senza ricavare granché ai fini della sua inchiesta ma riuscendo comunque a estrarne un profilo, vivendo sulla propria pelle una vicenda che tocca corde profonde, apre a molteplici riflession­i sui meccanismi psicologic­i e sociali in cui siamo immersi.

Fino a prova contraria

La questione è delicatiss­ima. L’istanza di revisione del processo è stata ammessa poche settimane prima che uscisse il libro, per valutare se “davvero c’è stata una combinazio­ne di circostanz­e sfavorevol­i che ha portato due innocenti in carcere”, come afferma la difesa. ‘Rosy ’ non è solo un’appassiona­nte cronaca giudiziari­a, è un romanzo che sembra suggerire un’altra verità rispetto a quella dichiarata dalla giustizia italiana: due persone sprovviste di risorse e mezzi diventano, per una serie di errori grossolani, facile capro espiatorio, colpevoli fino a prova contraria. E tutto questo non si può leggere con la scioltezza con cui si affrontano le “rassicuran­ti colpevolez­ze” raccontate da Truman Capote o da Meyer Levin.

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KEYSTONE Libro nato dai colloqui intercorsi con Rosa Bazzi (in foto) nel carcere di Bollate
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Alessandra Carati

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