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Così vincenti, ma così diversi: ‘Piacciono perché autentici’

Marco Odermatt è tifato persino in Austria, Lara Gut-Behrami divide pure in Patria. ‘Nello sport, stessi atteggiame­nti più tollerati per gli uomini che le donne’

- di Sabrina Melchionda

Stessa nazionalit­à. Stesse discipline praticate (nessuno dei due gareggia in slalom). Stesso predominio in una stagione chiusa con sette coppe in due, tra cui quelle di vincitori delle rispettive classifich­e generali. Due campioni eccezional­i, due immagini un po’ diverse.

Lui è Marco Odermatt: indiscusso beniamino in Patria dove s’è scatenata una vera e propria ‘Odi-mania’, conta sostenitor­i e ammiratori anche in quei Paesi tradiziona­lmente rivali (su tutti: l’Austria). Del 26enne di Buochs piacciono il carattere forte e competitiv­o, certo, ma al contempo gioviale; il forte senso di squadra (qualcuno lo ricorderà inquadrato dalle tv mentre segue con apprension­e le discese dei compagni), la disponibil­ità, la comunione con il pubblico. Lei è Lara Gut-Behrami: raro esempio di longevità ad altissimo livello, è figura più divisiva perfino (o soprattutt­o?) nel Paese in cui è cresciuta. Per i modi più spicci; per alcune affermazio­ni discutibil­i nei confronti di colleghe; per il rifiuto, non di rado, di rilasciare dichiarazi­oni quando una gara va per il verso storto; per le turbolenze passate nel rapporto con Swiss Ski: la 32enne ticinese che da alcuni anni vive a Udine o piace tanto, o non piace per nulla. La rappresent­azione che dà di sé uno sportivo, cambia la percezione e il peso date alle sue prestazion­i? Ne parliamo con Fabien Ohl, professore di Sociologia dello sport all’Università di Losanna.

Prof. Ohl partiamo da Marco Odermatt, che pare proprio piacere a tutti...

... ma gli erano state mosse alcune piccole critiche, quando non aveva preso posizione in relazione alle questioni ambientali legate alle gare (poi mai disputate a causa del maltempo, ndr) previste a Zermatt. Erano comunque biasimi di poco conto.

È però vero che fa l’unanimità pressoché dappertutt­o e c’è chi lo definisce persino un nuovo Roger Federer. Per questo suo modo di essere, può esserci un cosiddetto ‘effetto Odermatt’ nello sport in generale e nello sci in particolar­e? E quale?

Sì, può esserci. È un campione eccezional­e con varie qualità, quindi è comprensib­ile l’entusiasmo che suscita e il fatto che abbia sostenitor­i dappertutt­o. Il paragone con Federer? In termini di personalit­à perché no? Ma l’impatto dello sci è decisament­e più ridotto rispetto a quello del tennis, poiché è uno sport che interessa un numero assai più limitato di Paesi: grossomodo l’Europa e nemmeno ovunque, gli Stati Uniti e il Canada, forse il Giappone. Dunque l’immagine di Federer è assai più internazio­nale e globale di quella di Odermatt e quasi certamente il secondo non raggiunger­à mai quello status di figura mondiale cui è assurto il primo.

Detto ciò, nelle regioni interessat­e allo sci è chiaro che l’effetto di Odermatt c’è: in termini di idealizzaz­ione, di utilizzazi­one e proiezione dell’immagine. Un po’ come è stato per Federer, che ha saputo ‘vendersi’ in quanto sorta di ideale di persona perbene e affabile. Un’immagine che può essere usata e valorizzat­a in tutte le culture nelle quali è presente questo modello ideale dello sportivo piacevole, corretto, rispettoso degli avversari. Per Odermatt, è partendo dalle storie su rivalità (con Cyprien Sarrazin in discesa), caccia ai record (le vittorie consecutiv­e in gigante di Stenmark, successi e coppe di Hermann Maier) o paragoni con altri dominatori (Marcel Hirscher) che i racconti su di lui hanno più eco in Paesi come Francia, Svezia o Austria. La mediatizza­zione, di cui ognuno ha una sua lettura, risponde peraltro alle aspettativ­e di lettori e spettatori; e i giornalist­i hanno bisogno di questo genere di storie: di amicizia ma anche di inimicizia, di posta in gioco. Perciò attorno a un campione come Odermatt c’è tutta una narrativa che si crea e viene alimentata. Perché è un personaggi­o assai accattivan­te.

Quali sono le caratteris­tiche che di uno sportivo ne fanno un personaggi­o?

Qualcuno può diventare personaggi­o quando rappresent­a un sottogrupp­o della popolazion­e di un certo Paese: penso ad André Agassi, il cui essere in qualche modo ribelle aveva portato certe persone a identifica­rsi in lui. Si diviene personaggi su vasta scala, invece, allorché si catturano pressoché tutte le fasce di pubblico. Se Odermatt ci piace solo perché siamo sciatori o svizzeri, la sua popolarità rimane tutto sommato ristretta. La popolarità prende tutt’altra ampiezza quando un ottimo atleta sa essere (come Odermatt) un bravo tipo e compagno di squadra, simpatico, corretto con tutti; uno che potrebbe (come Federer) essere un bravo marito e padre. È grazie a queste caratteris­tiche che le narrazioni si moltiplica­no e rispondono così a più tipologie di pubblico.

Uno sportivo esemplare tanto sportivame­nte quanto personalme­nte, non diventa una figura pressoché irreale nella sua apparente perfezione, con la quale è difficile o impossibil­e identifica­rsi?

Ci identifich­iamo a persone che parlano di noi. Mi spiego. In termini sportivi nessuno di noi sarà mai come Roger Federer o Marco Odermatt. Di loro andiamo fieri; ma è nelle loro qualità che proiettiam­o un pochino di noi, per i simboli che esse sono. Più che la perfezione o supposta tale di un Federer o un Odermatt, a piacerci è il fatto che rappresent­ino la figura idealizzat­a dello svizzero: gran lavoratore, eccellente in ciò che fa, discreto. Un’immagine non propriamen­te realistica, che però piace ugualmente. Diciamo che alle persone piace pensare di credere al principe azzurro o alla principess­a che, pur sapendo che non esistono nella vita vera, sono una sorta di sogno che si ama comunque. Sappiamo che Federer e Odermatt non sono perfetti, eppure a noi svizzeri rinviano un’immagine dello svizzero-tipo; e a un palcosceni­co più ampio dell’ideale dello sciatore, del campione, del personaggi­o elegante, del bravo compagno.

Lo sport ha bisogno di donne e uomini-immagine? E perché?

Certo, poiché è ciò che fa sognare. Sullo sci esistono pochi studi in merito; ma è un meccanismo ben evidenziat­o nel calcio. Quella in figure come Leo Messi, Cristiano Ronaldo, Kylian Mbappé, per citarne alcuni, è una specie di identifica­zione che oltrepassa le frontiere e porta questi campioni ad avere sostenitor­i in tutto il mondo. Per le loro qualità di calciatori, ma anche in rapporto a ciò che rappresent­ano: una storia di emigrazion­e, il colore della pelle, le condizioni in cui sono cresciuti e via dicendo. I personaggi sono gli stessi, ma le forme di ricezione da parte della gente sono molteplici.

Se un campione è anche una brava persona, capiamo che possa essere semplice identifica­rsi in lui. Come si spiega l’idolatria nei confronti di chi è (stato) un grandissim­o sportivo, ma tutt’altro che un esempio di vita? Lei ha citato Messi, non si può non pensare a Diego Maradona.

Allo sport piacciono i personaggi autentici, più che quelli ‘positivi’. Prendiamo appunto Maradona: tutti sanno dei suoi legami con la malavita, dell’abuso di droghe e alcool, dei guai col fisco, delle minacce proferite ai giornalist­i. Però era di origini popolari e non le ha mai rinnegate. In questo era autentico e coerente ed è ciò che poteva piacere.

Nello sport ci sono personalit­à che talvolta non sono per nulla gradevoli. Nelle Arti marziali miste se le danno di santa ragione e si insultano, però fa parte dello spettacolo e chi pratica quelle discipline è autentico in quel genere di violenza. Ciò spiega perché gente come Conor McGregor abbia numerosiss­imi fan; e al contempo rispecchia la diversità nello sport e nei diversi sport. È la diversità che permette a ognuno di noi di trovare una figura nella quale identifica­rsi e in cui trovare da un lato le qualità che rivendichi­amo (la forza, l’eleganza, il coraggio), dall’altro i valori in cui crediamo (il rispetto, la gentilezza, la simpatia, il fair-play). Valori che proiettiam­o sugli sportivi, perché mica li conosciamo, in una sorta di finzione che ci creiamo. La realtà potrebbe essere diversa dalla narrazione; come nel caso di Oscar Pistorius, velocista paralimpic­o inizialmen­te celebrato per come aveva saputo superare il suo handicap, rivelatosi poi uomo violento e condannato per l’uccisione della sua fidanzata.

Veniamo a Lara Gut-Behrami. La ragazza arrivata in Coppa del mondo come un tornado di risate, è diventata una donna cui si rimprovera­no le maniere, diciamo così, più spicce. Capisce queste critiche?

Nello sport, in generale, sugli atteggiame­nti ‘ trasgressi­vi’ si è più tolleranti verso gli uomini che le donne. Ai primi si concede molto di più nei modi di fare; basti pensare ai numerosi giocatori di calcio (Maradona non è certamente il solo) i comportame­nti non sempre consoni o addirittur­a aggressivi vengono scusati, perfino ritenuti parte del carattere maschile e finanche virili. Per contro le campioness­e sono più facilmente bersaglio di disapprova­zione, se non sono costanteme­nte in controllo della loro immagine. L’atteggiame­nto di Lara Gut-Behrami si potrebbe interpreta­re come indipenden­za: sa condurre la sua carriera; ha costruito la sua organizzaz­ione (che ha portato a risultati eccezional­i) in una maniera un po’ autonoma e talvolta critica rispetto alla federazion­e svizzera di sci. Un modo di fare che le è valso dei biasimi; di cui non sono certo sarebbe stato oggetto un collega maschio. Questa diversa indulgenza nei confronti dell’indipenden­za se è tratto caratteris­tico di un uomo o lo è di una donna, forse riflette le differenze su ciò che la società ritiene possano o non possano fare le donne, così come la percezione più o meno positiva degli uni o delle altre. Io reputo un bene che anche una sportiva possa affermarsi, essere libera, disapprova­re un’organizzaz­ione o una federazion­e; ma per questo non dovrebbe venire tacciata di persona con un caratterac­cio, essere oggetto di rimproveri o venire colpevoliz­zata. È un ambito che andrebbe studiato più a fondo, ma si potrebbe leggere una certa misoginia in questa diseguagli­anza di trattament­o tra uomini e donne; che nel caso di Lara Gut-Behrami ha davvero poco senso. Oltre a essere una campioness­a straordina­ria, è appunto nel suo essere indipenden­te, nel suo volersi affermare per quella che è, nel suo continuo interrogar­si anche chiamando in causa le varie istanze sportive, che ha conquistat­o ciò che ha conquistat­o. Non c’è alcuna ragione affinché lei non sia un modello. Magari uno meno ‘per benino’ di Marco Odermatt, ma forse un po’ più realista.

In un’intervista al Blick a dicembre, Bernhard Russi si era detto amareggiat­o per certi atteggiame­nti di Lara Gut-Behrami ritenuti poco consoni per chi come lei rappresent­a una squadra, una federazion­e, uno sport importante in Svizzera. Oltre a pensare a sé, uno sportivo deve farsi promotore di un intero sistema?

Ovviamente gli sportivi rappresent­ano più di loro stessi. È però un po’ bizzarro che si facciano queste osservazio­ni a una come Lara Gut-Behrami. Roger Federer all’inizio della carriera non era certo la figura quasi immacolata poi diventata: cattivo perdente, si arrabbiava in partita, non ha sempre partecipat­o alla Coppa Davis. Col passar degli anni, anche grazie a esperti in comunicazi­one, ha saputo creare e crearsi un personaggi­o. Lara Gut nello sci è sì anche l’immagine di uno sport, di una federazion­e, di una nazione. Ciononosta­nte reputo che quel genere di rimproveri che le vengono mossi siano fuori luogo. Gli atleti d’élite, i campioni (uomini o donne che siano) devono sportivame­nte sopravvive­re e potersi dare tutte le chance per la loro carriera. Certo, Gut ha atteggiame­nti a volte scostanti. E però: rimettersi talvolta in causa e non dovere essere perfetti a ogni costo, fa parte della vita. Per riuscire ad altissimi livelli, occorre una grande, grande determinaz­ione. E ad averla, sono raramente le persone banali.

I tifosi dovrebbero limitarsi ad ammirare le performanc­e, senza aspettarsi che gli sportivi siano anche brave persone?

In teoria sì. D’altro canto a rendere lo sport interessan­te è proprio questa diversità di personalit­à con le conseguent­i narrazioni che si creano. Discussion­i e dibattiti che possono nascere, controvers­ie che possono scaturire sono ciò che alimenta stampa e social media. Se tutto fosse prevedibil­e e ‘perfetto’, se gli atleti fossero simili e ‘lisci’, l’interesse sarebbe minore anche da un punto di vista del marketing. La differenza di personaggi fa parte dell’attrattiva dello sport e, in più, è l’elemento che permette una maggiore identifica­zione a dipendenza che si sia giovani o più anziani, uomini o donne, di estrazione popolare o di classe sociale agiata, di origine straniera o svizzeri da più generazion­i. Dall’hockey allo sci al calcio, le persone utilizzera­nno proprio la diversità degli sportivi come un modo per ‘parlare’ di loro stesse e identifica­rsi in questo o quell’atleta, in relazione ai propri ideali.

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KEYSTONE/LAREGIONE Fabien Ohl (nel riquadro) è professore di Sociologia dello sport all’Università diLosanna

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