Nel cuore della Vallonia
Tappa 30
Eravamo partiti da Assisi per dirigerci a Bruges. Un viaggio da Sud a Nord nell’Europa del Medioevo, attraverso Toscana, Lombardia, Ticino, Svizzera centrale, Borgogna, Champagne. La prima tappa belga ci conduce a Namur seguendo la Mosa in un percorso tanto lungo quanto ciclisticamente impeccabile.
Charleville – Namur
Coincidenze e stranezze. Nella città di Rimbaud penso a Simenon. Sul ponticello ciclabile accanto al museo dedicato all’enfant terrible di Charleville mi torna alla mente un racconto del commissario Maigret. Il motivo lo scopro subito, sotto questa passerella scorre placida la Mosa. Pur essendo scrittori antitetici, entrambi erano figli di questo grande fiume che fluisce sinuoso dai Vosgi fino al Mare del Nord. Un’autostrada navigabile accanto alla quale pedaleremo per un centinaio di chilometri. Rimbaud qui si ispirò per scrivere Le bateau ivre, Simenon, nato a Liegi lungo la Mosa, la rese protagonista di un racconto del commissario Maigret ambientato a Givet, grazioso paesino francese al confine con il Belgio ( La casa dei fiamminghi, Adelphi). Ci arriveremo al km 79. Usciti da Charleville ci inoltriamo in un affascinante canyon scavato dal fiume. Tra le rocce scoscese scrutiamo verso l’alto per scovare se appaiono testimonianze della Linea Maginot. Ci vengono i brividi. Qui, di questa complessa rete difensiva costruita dai francesi tra gli anni Venti e Trenta lungo l’asse Basilea-Dunkerque, considerata inespugnabile, ma rivelatasi uno dei più clamorosi errori della Seconda guerra mondiale, non rimane quasi nulla. Non solo perché in buona parte era interrata, ma perché i francesi, convinti che le fitte foreste delle Ardenne costituissero da sole un baluardo invalicabile, la lasciarono pressoché sguarnita. Così nel maggio del 1940 i carrarmati tedeschi l’aggirarono ed effettuarono da queste parti lo sfondamento decisivo. Vicende e pensieri che ci accompagnano fino a Givet, quella di Simenon e Maigret, dove anche la Mosa cambia faccia, allargandosi e aprendosi alla navigazione di grandi chiatte da 1’350 tonnellate che scivolano lisce fino a Rotterdam. Simenon la descrisse durante i giorni invernali di burrasca, ma poco importa. Importante invece passare, all’entrata della cittadina, sotto la poderosa fortezza voluta da Carlo V a difesa del suo grande impero (chiamata Charlemont). Entrati in Belgio, la valle si apre e la Mosa si allarga ancora. Le costruzioni decadenti dei villaggi francesi lasciano il posto a una serie di ville, una più bella dell’altra, molte in stile Belle époque o quelle più recenti in stile chiamato “balneare”, circondate da giardini molto ben curati protesi verso il fiume. Prima di Dinant, ci fermiamo ad ammirare Waulsort (km 90), un tempo località di villeggiatura alla moda frequentata da artisti e intellettuali, dove spicca la più alta concentrazione di queste belle ville tra Art Déco e Liberty. Tornati in sella rimaniamo nuovamente inebriati dalle inaspettate bellezze offerte dalla Mosa, senza aver ancora assaggiato un sorso di Leffe, la famosa birra belga, ora industriale, ma fin dal Medioevo fabbricata dai monaci a Dinant. L’antico convento ora è un hotel di lusso. Noi ne gustiamo un boccale in uno dei tanti baretti affacciati sul lungofiume sotto l’antica fortezza, posta a guardia di questa cittadina adagiata sul fiume come un gigante addormentato. Brindiamo alla città della Leffe, a quella di Adolphe Sax, l’inventore del sassofono e alle molte altre cose che questa volta non riusciamo a vedere. Dobbiamo arrivare in tempo a Namur per visitare la più famosa delle cittadelle, anch’essa affacciata sulla Mosa.
Namur, il cuore della Vallonia, fra i trampoli e un po’ di... Ticino
Abbiamo pedalato tanto e ora si fa impellente un’urgenza: la sete, oltre al bisogno di riprendere fiato. Impaziente desiderio ormai limitrofo alla brama: quello di bersi una birra in una città che può vantare diverse celebri brasserie. Però un altro richiamo, questa volta limitrofo al senso del dovere e a quello di colpa, ci fa cambiare programma. Procrastiniamo il piacere più immediato e dissetiamo dapprima la nostra curiosità storica. Chiusi da qualche minuto i cancelletti che ti consentono di salire senza fatica con l’ovovia, imbocchiamo il sentiero e le scalinate che ci portano in una ventina di minuti a piedi lassù, dove torreggia, abbarbicata a uno sperone di roccia, la celeberrima cittadella, una delle fortezze più imponenti d’Europa. L’impronta di Sébastien le Prestre de Vauban è inconfondibile: l’ingegnere di Luigi XIV ha disseminato di fortezze la Francia. Cooptato dal cardinale Mazzarino nell’esercito di re Sole, divenne una sorta di costruttore seriale di edifici militari partecipando direttamente a una cinquantina di assedi, tra cui proprio quello della capitale della Vallonia. In una battaglia a distanza tra ingegneri militari, tre anni dopo il rifacimento di Vauban, nel 1695 il barone olandese Menno van Coehoorn al servizio di Guglielmo III d’Inghilterra, alleato degli spagnoli, si prese una bella rivincita allargando e modificando a sua volta l’aspetto della fortezza. Una visita, il tempo di qualche foto di rito al paesaggio, prima di rifiondarci in centro città. Finalmente possiamo rilassarci e gustarci, nell’invitante Place du Marché aux Légumes, l’agognata Houppe, una birra bionda che - pare - risale al XIV secolo. La serie infinita di guerre non ha mutato solo l’aspetto del castello-fortezza-cittadella. Ha cancellato il retaggio di questo centro urbano medievale, che oggi appare nel suo patrimonio culturale soprattutto di impronta settecentesca. A partire dalla cattedrale di S. Albano risalente al 1051: oggi si presenta come una sintesi tra barocco, rococò e neoclassico progettata e realizzata dal ticinese Gaetano Matteo Pisoni a metà Settecento. Qualche traccia importante dell’epoca di mezzo la troviamo tra la Place du Théatre e la Place d’Armes: il beffroi (ne incontreremo altri nelle Fiandre) è un robusto torrione a scopo difensivo eretto a fine Trecento e inserito nella cinta muraria. Insignito dell’ambito sigillo Unesco pure un bene immateriale quanto affascinante (così afferma chi ne ha fatto l’esperienza) e dal nome singolare: si tratta delle joutes sur échasses de Namur. Il conte Guglielmo II di Namur nel 1411 ne aveva vietato la pratica a chi aveva superato l’età di tredici anni. La ragione? La competizione si era trasformata in un’occasione per regolare i conti tra fazioni rivali! Ma l’editto ebbe scarso effetto, perché le cronache segnalano che una di queste manifestazioni si svolse nel 1438 d.C. in presenza del duca di Borgogna Filippo il Buono. Più tardi lo spettacolo sarà offerto anche all’imperatore Carlo V e in seguito a suo figlio Filippo II. Questa tradizione medievale non è certamente priva di fascino. Di che si tratta? I membri di due squadre, i Mélans e gli Avresses, si sfidano in una spettacolare battaglia sui trampoli: trampoli gialli e neri per i primi, rossi e bianchi per i secondi. La regola è semplicissima: vince la squadra che riesce a far cadere tutti i suoi avversari. Ogni anno nella terza domenica di settembre, le joutes sur échasses si svolgono nella piazza della cattedrale. All’origine i trampoli servivano semplicemente agli abitanti per spostarsi durante le frequenti tracimazioni della Mosa e della Sambre, i due fiumi che bagnano Namur. Progressivamente quartieri e rioni hanno preso l’abitudine di ricorrere ai trampoli per competere e sfidarsi. Una sorta di versione belga del Palio di Siena. Qualche anno fa è caduta l’ultima barriera patriarcale: bambine, ragazze e donne possono ora partecipare alla grande sfida che - stando a quanto leggiamo nei documenti Unesco - “rafforza la coesione e l’integrazione sociale”.