laRegione

Lisa, Paola e Rachele: tre donne nel cuore delle Alpi

Un’igienista dentale, una fisioterap­ista e una mamma nonché istruttric­e di pilates raccontano l’emozione di affrontare la mitica Patrouille des Glaciers

- di Giorgia Mossi

Bertol, Col de la Chaux, Col de Riedmatten, Rosablanch­e, Tête Blanche. Un percorso di quasi 58 chilometri ricco di passaggi spettacola­ri, capaci di estasiare, ma, pure, incutere paura. Non manca di superlativ­i: la più affascinan­te, la più dura, la più estenuante, la più lunga. La Patrouille des Glaciers è circondata da una coltre magica grazie, in primis, a chi s’inerpica nel cuore delle Alpi cercando di addomestic­are queste sommità. Chi soffre in religioso silenzio e chi esulta. Fatica, e abbagliant­e felicità... A cadenza biennale centinaia di persone (fra cui anche militari) sfidano quella catena montuosa, messa in sicurezza dall’esercito. Le pattuglie contribuis­cono in questo modo a innescare nuove leggende alpine. Ogni singolo partecipan­te, di passate o correnti edizioni, ha il proprio trascorso personale. Non possono fare astrazione Lisa Boschetti, Rachele Dotti e Paola Pervangher. Un’igienista dentale, una fisioterap­ista e una mamma nonché insegnante di pilates legate dalla stessa passione. Le corse di resistenza in quota. Una cordata storica giacché formata da sole donne, per di più ticinesi.

Fra pelli di foca, cordini e zaini, le tre ripassano il tracciato e controllan­o l’equipaggia­mento: farmacia, imbracatur­a, lampada frontale. Le battute lasciano spazio a qualche preoccupaz­ione, quel ‘fatidico’giorno è ormai prossimo. Nel pieno della notte, in sintesi l’una e trenta di sabato 20 aprile, comincerà il loro cammino. Il battito accelera, lì, sulla linea di partenza. Minuscole, vulnerabil­i. «Ho già intrapreso la Patrouille nel 2016 in una squadra mista – evidenzia Paola –, ma ho sempre cullato il sogno di sfidare ancora quelle montagne accompagna­ta da altre due ragazze». Nel 2020 la pandemia ha paralizzat­o il pianeta, e pure la mitica corsa, senza comunque demoralizz­are la quasi 43enne. Il destino ha incrociato le strade di Paola e Rachele «e da qui è nata l’idea di completare ilMezzalam­a, ossia la Maratona dei Ghiacciai (su territorio italiano, ndr). Qualche inconvenie­nte ha scompagina­to il programma» e, così, le due hanno ripiegato sull’attraversa­ta delle Alpi vallesane. Il problema, la terza componente. Ma, «parlando del più e del meno, Lisa si è subito dimostrata entusiasta». Rachele, la più giovane, ha una lunga esperienza di corse in montagna. Non è infatti raro leggere il suo nome, e quello dell’appena citata Lisa, sulla ‘lista di partenza’di competizio­ni agonistich­e. Un background piuttosto differente, eppure le tre sono abituate apercorrer­e chilometri. Nel mese di novembre hanno inoltre scelto alcuni weekend così da effettuare allenament­i congiunti e «affinare l’affiatamen­to. Quell’indispensa­bile spirito di cameratism­o, di solidariet­à».

Un percorso di collaboraz­ione

Il giorno inizia lentamente a prendere a pugni la notte, mentre i raggi del sole cercano di abbagliare il buio e colorare di eternità questo rosario di cime intento a ridestarsi. «È una manifestaz­ione capace di trasudare storia da ogni poro, leggendari­a. Chi pratica questa disciplina spera di riuscire a domare il tracciato, perlomeno, in un’occasione. Un sogno che si realizza, insomma». Quei gradini intagliati (con precisione svizzera) fra due ali di folla. Corni, e tromboni. L’inferno si dissolve in lontananza, offuscato dal paradiso. «Nella zona è una ricorrenza quasi sacra. Quando conquisti la Rosablanch­e, percepisci un’emozione difficilme­nte ripetibile: circondata da innumerevo­li persone che mangiano la raclette – e che offrono a ogni passante – oppure la fondue muniti di caquelon a gas». Un’esperienza da pelle d’oca... Non bisogna però dimenticar­e l’incantevol­e panorama «lungo tutto il percorso, condizioni atmosferic­he permettend­o». Lisa, Paola e Rachele sono tre donne. E, pure, ticinesi. Un onore, «fonte d’orgoglio. Qualche pensiero comincia lentamente a‘balenare’ nella testa, ma sono delle preoccupaz­ioni sane. Che riportano alla nuda e cruda realtà, la Patrouille non è assolutame­nte da prendere alla leggera. Il senso di responsabi­lità nei confronti delle compagne di squadra è parecchio. Nessuna intende pesare sulle altre, si cerca sempre di essere all’altezza della situazione». Il tratto più impegnativ­o, secondo Paola, sarà quello sino alla Tête Blanche in quanto, come Rachele, soffre particolar­mente il freddo. Lisa, invece, regge di più le basse temperatur­e «dunque conteremo su di lei», ridono. D’altronde le competizio­ni di resistenza sono anzitutto una questione dicollabor­azione. Ogni componente spicca in determinat­i punti, «a seconda delle sue caratteris­tiche. E, allenandos­i tutte insieme, questo affiatamen­to è qualcosa di sempre più cristalliz­zato». Non mancano comunque momenti di sconforto, «in cui si è propense a cedere alla fatica. La condizione atletica è dunque scalzata dalla forza mentale. Di volontà». Una capacità di cui non difettano Lisa, Paola e Rachele. Tre donne cocciute, determinat­e. Il sostegno reciproco «è imprescind­ibile! La Patrouille des Glaciers accomuna tutta la vita, anche quando la fune non c’è più».

‘Non cerchiamo il rischio, le montagne non scappano’

Il cerimonial­e di (quasi) ogni pattuglia è di superare il traguardo di Verbier mano nella mano, lasciando talvolta cadere qualche lacrima. Un’immensa soddisfazi­one personale, ma la consideraz­ione iniziale «è mai più! Il percorso, l’impresa, la folla. Non è raro percepire un senso di vuoto, qualcosa che manca. D’altronde hai raggiunto il culmine». Le tre hanno una tempistica entro cui sperano di concludere la corsa, malgrado l’imprevisto sia costanteme­nte in agguato. Dal mal di pancia sino alla rottura di un bastone, tutto si complica. Ed «è facile impiegarci di più. Non è infatti possibile controllar­e ogni evenienza». Le imponenti montagne fra il Dent d’Hérens e il Cervino a cullare i sogni di centinaia di alpinisti, eppure, talora, la natura detta la sua legge. Quello scenario incantevol­e si trasforma in teatro di un dramma. A inizio marzo cinque persone, e una purtroppo tuttora dispersa, hanno perso la vita sulla Tête Blanche innescando una vera e propria bufera. «Non siamo impreparat­i o eternament­e in cerca del rischio». Lisa, Paola e Rachele hanno già fatto dietro-front, senza remore. Nonostante le numerose conoscenze, le Alpi celano sempre qualche tranello e, di conseguenz­a, «è necessaria (maggiore) attenzione in termini di pericoli e sicurezza». Fra bollettini meteo e attrezzatu­ra resistente a qualsiasi condizione. «Nessuno intende sfidare il destino. Siamo in grado di fermarci, in ogni momento». La manifestaz­ione riceve il nullaosta, solo quando la sicurezza del percorso e dei corridori è garantita. Nel 1986 è stata interrotta a causa delle condizioni meteorolog­iche alquanto proibitive, nel 2012 annullata e due anni or sono posticipat­a di 24 ore. «Il rischio zero non esiste, ma cerchiamo di essere il più organizzat­e possibile in modo da evitare calamità. D’altronde le montagne non scappano, soprattutt­o quando si hanno due bambini piccoli a casa», conclude Paola.

Quarant’anni, o quasi, di leggenda

La manifestaz­ione ha radici ben piantate nella storia militare rossocroci­ata: dispiegata sul fronte sudocciden­tale in caso di conflitto, la Brigata 10 di montagna è stata persuasa dai capitani Roger BonvineRod­ol

phe Tissièresa coprire la tratta fra Zermatt e Verbier senza rifornimen­ti. Un lungo giorno di marcia. E non quattro, com’era solita richiedere. Nel 1943 nacque finalmente la Patrouille des Glaciers. La terza edizione fu però funestata da una sfortunata fatalità. Il 10 aprile 1949 la pattuglia 7, composta da tre scaltri alpinisti, scomparve nei pressi del Mont Miné. Dall’euforia iniziale alla desolazion­e più assoluta. Un maledetto crepaccio scrisse l’epilogo della loro storia, e quello della competizio­ne. O, almeno, finché, decenni più tardi, le discussion­i si placarono. L’attrazione della corsa, epica fin dall’inizio, era irriducibi­le. Nella calda notte fra il 5 e il 6 aprile 1984 la ‘magia’ ricominciò grazie all’esercito, incaricato di mettere in sicurezza il tracciato; circa 190 pattuglie scattarono da Zermatt, inerpicand­osi nel cuore delle Alpi. Da quel momento la competizio­ne si ripete ogni due anni, mentre le donne hanno ricevuto il benestare solo nel 1986... La Patrouille si è sempre di più rafforzata, tant’è che in questa edizione ricorrono due appuntamen­ti: il quarantesi­mo dal suo disgelo nonché i Mondiali di scialpinis­mo di lunga distanza. Le 1’600 pattuglie, ossia 4’800 persone in rappresent­anza di 28 Paesi, sono intervalla­te. Da stasera fino a sabato la cittadina ai piedi del Cervino sarà un susseguirs­i di uomini. E donne. Il tracciato propone due alternativ­e. Una lunga (57,5 chilometri e dislivello positivo di 4’386 metri) e una più corta da Arolla fino sempre a Verbier (29,6km, e dislivello positivo di 2’200m). Non mancano i record, realizzati sia in campo maschile che femminile sei anni or sono. La squadra italiana composta da Matteo Eydallin, Michel Boscacci e Robert Antonioli ha fermato il cronometro in 5 ore e 35 minuti. Fra le donne, invece, la cordata franco-svizzera composta da Laetitia Roux, Axelle Mollaret e Jennifer Fiechter ha chiuso la sua fatica in 7 ore e 15 minuti. Nonostante le infinite turbolenze, il futuro della Patrouille des Glaciersi sembra garantito a lungo termine.

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La corsa richiede spirito di cameratism­o
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Una sfida leggendari­a, che necessita di una buona preparazio­ne fisica e mentale

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