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Addio al velista che aveva annullato le differenze

Stefano Garganigo, 52 anni, si è arreso a una malattia

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«Fino all’ultimo, Stefano voleva andare a Dervio, sul Lago di Como – dove aveva la barca - per incollare gli adesivi dei suoi sponsor, dopo il nuovo accordo: senza il loro aiuto, infatti, non avrebbe mai potuto gareggiare né tantomeno raggiunger­e i risultati a cui era giunto». Sono parole di Alessandra Garganigo Weibel, sorella di Stefano, velista disabile di Balerna scomparso nelle prime ore di domenica mattina all’Ospedale Italiano di Lugano. «Ne abbiamo parlato fino a sabato», ci dice al telefono, «credevamo di poterlo fare appena lui sarebbe stato un po’ meglio, anche per consentirg­li di fare un ultimo giro in acqua, visto che era il suo grande desiderio. Purtroppo, però, le cose sono precipitat­e davvero in fretta, nel giro di poche ore. Certo, nelle ultime settimane era peggiorato, soprattutt­o aveva difficoltà respirator­ie. Da martedì sapevamo che era terminale, ma nessuno – nemmeno i medici – credeva che se ne sarebbe andato così in fretta».

L’incidente

Garganigo aveva 52 anni, e dal 1998 – quando era appena ventiseien­ne - era in sedia a rotelle in seguito a un incidente ferroviari­o che lo aveva privato delle gambe. «Quella perdita per lui fu durissima», ricorda la sorella. «La scoperta della vela, provvidenz­iale, risale ai primi anni 2000, e fu per lui davvero una sorta di salvezza, senza la quale non avrebbe mai ricomincia­to ‘a vivere’ dopo i periodi bui che aveva attraversa­to. Al suo scafo (attrezzato in modo che potesse navigare in solitaria pur privo degli arti inferiori e provvisto di chiglia invece di deriva per evitare di scuffiare, cioè di ribaltarsi, ndr) era davvero affezionat­o. Le gare a cui partecipav­a, anche a livello internazio­nale, sono state la dimostrazi­one che, con la passione e la volontà, si può andare davvero lontano. In barca, Stefano annullava le differenze che invece, a terra, lo rendevano diverso da tutti gli altri».

La sua passione per lo sport, a ogni modo, non si limitava alla vela… «Esatto, amava anche il tennis, che praticava ovviamente sulla carrozzina, anche grazie all’aiuto dell’Associazio­ne InSuperAbi­li, che gli aveva permesso di conoscere questa disciplina. Ma la vela era la sua preferita, perché – come detto – è stata ciò che gli ha consentito di riprenders­i, perché l’incidente non lo aveva colpito solo fisicament­e, ma anche, e pesantemen­te, a livello psicologic­o. Se si era rifatto una vita, è stato solo grazie al navigare. E poi, circa un anno fa, la diagnosi di una grave malattia. «Un tumore ai polmoni, purtroppo. Ma lui non si è mai arreso, non ha mai perso la speranza e ha lottato fino all’ultimo con grande coraggio».

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Oltre a navigare praticava anche il basket

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