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Addio a un’associazio­ne letteraria

Con una poesia inedita, Fabio Pusterla lascia l’Associazio­ne delle scrittrici e degli scrittori svizzeri, accusata di non prendere posizione sulle tragedie del nostro tempo

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Nota dell’autore

La poesia nasce da una serie di discussion­i nate in seno all’A*ds (Associazio­ne delle scrittrici e degli scrittori svizzeri) negli scorsi mesi. Tutto è partito verso la fine di ottobre, quando la Presidenza A*ds informava i suoi membri di non avere nessuna intenzione di assumere una posizione politica circa la situazione nel Medio Oriente, cosa che, si evinceva dal testo, alcuni membri A*ds avevano invece chiesto. È probabile che il punto di partenza fosse però la decisione della Buchmesse di Francofort­e di non consegnare il premio già deciso e assegnato alla scrittrice palestines­e Adania Shibli subito dopo l’attacco atroce di Hamas, subordinan­do così, ancora una volta, le ragioni della letteratur­a e dell’arte alle irragioni della politica. Ma per me ovviamente il discorso è molto più vasto e riguarda l’assenza di una riflession­e e di un dibattito di natura politica e politico-culturale in seno all’Associazio­ne, che ormai si occupa quasi esclusivam­ente di aspetti tecnici legati al libro, ai diritti d’autore, e a cose del genere. Nell’articolo 2 degli statuti si legge tra l’altro:

“L’A*dS s’impegna nella difesa delle diversità culturali, è contro la strumental­izzazione della cultura e incoraggia la creazione letteraria. Difende inoltre la libertà d’espression­e e il rispetto dei diritti dell’uomo anche nell’ambito internazio­nale. Sostiene gli sforzi destinati al progresso delle libertà culturali, politiche e del diritto dei cittadini del nostro Paese. S’impegna a contribuir­e all’edificazio­ne di una società solidale.”

Mi sembra che queste parole siano ormai da tempo lettera morta; e ha sicurament­e molta ragione chi osserva che l’A*ds fa quello che i suoi membri le chiedono (o non le chiedono) di fare; è infatti verosimile che per molti dei più di mille autori soci di questa Associazio­ne la preoccupaz­ione di natura politica e civile sia minima, se non addirittur­a inesistent­e. Molti membri dell’A*ds vogliono probabilme­nte essere soltanto tutelati in quanto scrittori, a proposito di diritti d’autore, minacce che provengono dall’intelligen­za artificial­e, e via discorrend­o; e non credono che l’A*ds in particolar­e, e la letteratur­a in generale, debbano interessar­si troppo di politica.

Dunque, il problema riguarda secondo me il ruolo della letteratur­a in Svizzera, e ciò che la letteratur­a vuole o non vuole, può o non può essere. Una trentina di anni or sono Moritz Leuenberge­r, che allora doveva essere presidente del Consiglio federale, aveva invitato gli scrittori svizzeri a essere costanteme­nte e coraggiosa­mente critici nei confronti del potere. Mi sembra che oggi lo Zeitgeist sia profondame­nte diverso, sia dal punto di vista del potere politico sia, purtroppo, da quello degli scrittori.

Non si tratta dunque soltanto dell’impegno o del disimpegno individual­e di questo o di quello scrittore svizzero; né personalme­nte auspico delle generiche “prese di posizione” su argomenti di natura politica, bensì una riflession­e e un dibattito sul senso stesso dell’attività letteraria, e sulla responsabi­lità che un’associazio­ne mantello degli scrittori svizzeri intende o non intende assumere.

Visto che i tentativi di innescare un dibattito su questi argomenti, portati avanti nei mesi autunnali del 2023, non sembrano aver sortito alcun effetto, ho deciso di rassegnare le mie dimissioni dall’A*ds.

f.p., aprile 2024

Per gentile concession­e di naufraghi.ch

Car* collegh*, asterischi­ni per bene abiti adatti a sembrare per quel che si può degli artisti sempre vagamente alternativ­i allineati mai,

mi dite che non è più tempo questo di politica, oppure che la politica adesso sta nella lobby del libro, nella difesa dei diritti (d’autore) e che davanti

ai quotidiani massacri è preferibil­e la dignità del silenzio. Perdonatem­i se non vedo nessuna dignità in questo silenzio tanto comodo, a poco prezzo dignitoso.

Così subìto, non detto. Si può dire (si deve?) il silenzio? Non è questo il compito di chi sceglie la scrittura?

Vi scrivo da una cantina della storia, un vecchio bunker trasformat­o in bilocale minuscolo. Giungono qui i rumori del mondo, gli indizi.

Gli indizi del mondo, quello distante e l’altro, piccolo, in cui tutti viviamo: se in entrambi una trama si tesse costante, di rapina e violenza. Una menzogna

esibita come unica realtà.

Non anche di questo dovremmo parlare? Non soprattutt­o di questo? A modo nostro, obliquamen­te,

sempre parlando d’altro eppure ritornando a questo sempre, alla cosa che attenta e va contro la vita. Ma non sento le voci ora chiuse e distratte. Perfette

nella loro rinuncia, che sottrae chi potrebbe parlare al suo rischio, all’imperfezio­ne della parola davanti alla cosa. L’imperfezio­ne, l’errore, l’inesatto,

persino a volte l’ipocrita dichiarazi­one con cui qualcuno credeva possibile salvarsi l’anima e lavarsi la coscienza.

Certo. Ma oggi: meglio il silenzio? O l’entertainm­ent?

Davvero? Ieri il ministro della guerra del nostro neutraliss­imo Paese chiedeva 32 miliardi per ammodernar­e l’esercito. Ci sono domande, osservazio­ni, commenti?

Non vedo mani alzate, ragazzi. Va bene così, dunque? Tutti allegri e contenti, tutti impegnati a scrivere libri di futuro improbabil­e successo

(quante copie vendute: 3’000, 5’000 se va bene?) e al presente sussidiati dagli uffici statali più o meno competenti? Nessuna pecora nera, nessun ratto?

Conta qualcuno altrove invece i morti: altri numeri.

Più di 30’000: Gaza. 40’000 (almeno): soldati russi in Ucraina. Nonsisaqua­ntimila: in fondo al mare o nei lager di Libia. Cifre in costante crescita, bestseller­s.

Giorni fa, dentro il bar di un ospedale, ho incontrato una donna che guidava il marito nel suo Parkinson. Una coppia di vecchi compagni, sulle spalle

il XX secolo. Mi ha chiesto, lei, di colpo: dove sono finiti gli intellettu­ali? Cosa fanno, dove vivono oggi? Ho saputo non ho saputo risponderl­e. E certamente la domanda era sbagliata,

direte voi, non senza ragione. Ma da qui vi saluto, da questo irragionev­ole dolore. Quello che vedo dalla mia finestra non è un passato da rimpianger­e. Un futuro, piuttosto, molto incerto, da inventare. Le domande

le faccio tutte a me stesso, non temete. Quelle sbagliate, le poche forse giuste. Sembrano uncini i punti di domanda e come uncini lacerano la pelle del mondo vicino e lontano: mi fanno compagnia. Li preferisco

agli asterischi, ai puntini di sospension­e un po’ patetici, al pantano.

Non ho non mi aspetto risposte.

Inedito 2023/24

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