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Commenti omofobi, Alain Soral condannato in via definitiva

Il saggista di estrema destra in carcere per 40 giorni

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Il Tribunale federale (Tf) ha confermato la condanna di Alain Soral per discrimina­zione e incitament­o all’odio in relazione a commenti omofobi rivolti a una giornalist­a. Per motivi procedural­i, la pena detentiva è stata ridotta da 60 a 40 giorni. Il che non impedisce alle associazio­ni queer di esultare per “un verdetto storico”.

In prima istanza, il polemista franco-svizzero era stato condannato solo per diffamazio­ne a una pena pecuniaria di 30 aliquote giornalier­e. In appello, il Tribunale cantonale lo ha riconosciu­to colpevole di discrimina­zione e incitament­o all’odio sulla base dell’orientamen­to sessuale e lo ha condannato a una pena detentiva di 60 giorni, decisione ampiamente confermata dal Tribunale federale.

Alain Soral, il cui vero nome è Alain Bonnet, nel 2021 ha pubblicato un video in cui attaccava una giornalist­a della ‘Tribune de Genève’ e del ‘24 Heures’, autrice di un articolo su di lui. La definiva “grassa lesbica” e“attivista queer”, insinuando che questo termine significas­se “squilibrat­a”, e ha persino pubblicato una sua foto.

Dopo la sentenza di secondo grado, il 65enne, trasferito­si a Losanna nel 2019, ha presentato ricorso. In particolar­e, il saggista di estrema destra chiedeva di essere assolto dall’accusa di discrimina­zione e incitament­o all’odio ai sensi dell’articolo 261 bis del Codice penale, una disposizio­ne estesa nel luglio 2020 alla discrimina­zione basata sull’orientamen­to sessuale.

In sostanza, il ricorrente sosteneva di non aver attaccato un gruppo protetto dall’articolo 261 bis, argomentan­do che il termine queer si riferisce all’identità di genere e non all’orientamen­to sessuale e che le sue affermazio­ni non erano offensive. Il Tf ha respinto entrambe le argomentaz­ioni. Il linguaggio utilizzato era “avvilente”, “disumanizz­ante” e“oltraggios­o”, ha dichiarato l’Alta Corte. Invitava gli utenti di Internet a disprezzar­e la giornalist­a, in particolar­e a causa del suo orientamen­to sessuale. Secondo il Tf, “non c’è dubbio che il messaggio tenda a suscitare ed eccitare un sentimento di o dio”. Come sottolinea­to dal Tribunale cantonale, l’autore ha agito intenziona­lmente, per cui sono soddisfatt­i tutti gli elementi costitutiv­i dell’articolo 261 bis. Inoltre, il ricorrente non può far valere la libertà giornalist­ica o la protezione offerta al dibattito politico. Non è impegnato in un’organizzaz­ione mediatica e non ricopre una carica politica, ha sentenziat­o l’Alta Corte.

Soral ha però parzialmen­te vinto per quanto riguarda la durata della pena. Essendo entrata in vigore la pena di 30 aliquote giornalier­e inflitta in primo grado per diffamazio­ne, il Tribunale cantonale non poteva condannarl­o a 60 giorni di carcere, di cui 20 per diffamazio­ne. Alla fine, Soral dovrà pagare 30 giorni di aliquote a 50 franchi per diffamazio­ne e scontare una pena detentiva di 40 giorni per discrimina­zione e incitament­o all’odio. Secondo il Tf, la scelta di una pena detentiva invece di quella pecuniaria non è criticabil­e, visti i precedenti del ricorrente in Francia (22 condanne) e la sua insensibil­ità alla sanzione penale.

‘Vittoria storica’

Le associazio­ni queer Pink Cross e Los (Organizzaz­ione svizzera delle lesbiche) hanno accolto la sentenza come una “vittoria storica” nella lotta all’omofobia. Si tratta della “prima condanna dell’Alta Corte per incitament­o all’odio omofobo dall’estensione dell’articolo 261 bis del Codice penale”, spiega Gaé Colussi di Pink Cross.

La sentenza manda “un chiaro messaggio”: “D’ora in poi casi del genere saranno presi molto sul serio, e tali commenti non hanno posto nello spazio pubblico”. Pink Cross e Los chiedono che la norma penale venga ora estesa all’identità di genere, così da punire tutti gli incitament­i all’odio queer-fobico, compresi quelli rivolti alle persone trans. L’avvocato di Alain Soral non ha ancora reagito. Lo scorso ottobre, dopo la condanna da parte del Tribunale cantonale, aveva dichiarato che avrebbe portato il caso, se necessario, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

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KEYSTONE Il Tribunale federale ha ampiamente confermato il verdetto d’appello dei giudici cantonali

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