La scelta di Steve Hirschi
Una carriera nell'hockey “salvata” diventando vegano
Cos'hanno in comune Lewis Hamilton, le sorelle Williams, Bode Miller, Mike Tyson, Martina Navratilova e Mirco Bergamasco? Facile: sono (sono stati) tutti sportivi di primissima fascia. Cosa, però, li accomuna? E qui la risposta si fa assai meno scontata. Ebbene, tutti hanno deciso, presto o tardi carriera facendo, di diventare vegetariani o vegani, chi per motivi etici, chi per scelta prettamente alimentare. E con effetti, a detta di tutti loro, assolutamente benefici ed appaganti.
Nel piccolo grande mondo dello sport nostrano lo stesso percorso ha visto protagonista un hockeista all'apice della sua carriera professionistica. Classe 1981, nato e cresciuto a Langnau, dal 2003 a Lugano e dal 2017 in… pensione, Steve Hirschi in carriera si è tolto tante belle soddisfazioni, e se ce l'ha fatta è perché dalla sua ha avuto (anche) un carattere tanto forte da permettergli di gestire una lunga serie di infortuni e di malanni: “Per una quindicina d'anni – racconta l'ex difensore bianconero e rossocrociato – ho avuto costantemente a che fare con problemi fisici alle ginocchia, alle anche, alle spalle, infiammazioni alle articolazioni, una forte asma, diverse influenze ogni anno, allergie al polline ogni primavera…”.
Ma non ha mai mollato, Hirschi, e la svolta è arrivata nel 2013, ormai 32enne ma con ancora tanta voglia di giocare a hockey ai massimi livelli: “Dopo aver provato di tutto ed aver ingerito tonnellate di pastiglie, ho deciso di provare ad eliminare per un mese i prodotti animali dalla mia dieta. Mi sono sentito subito meglio, anche se per ottimizzare il tutto ci ho poi messo in pratica un anno intero, e tanto impegno, tanto sacrificio e anche tanta sofferenza”.
E se oggi l'alimentazione è ormai un tema molto forte e molto presente pure nello sport professionistico, Steve Hirschi quel percorso tutt'altro che evidente verso il veganismo in quel momento si era ritrovato ad affrontarlo e gestirlo “completamente da solo”. E fors'anche per questo oggi, a sette anni di distanza, è ancora più felice e fiero di quanto ottenuto, “ovvero quattro o cinque anni in più di carriera e una vita senza più medicine”.