Réservé Magazine

Il turismo esperienzi­ale e la digitalizz­azione per far rinascere la ristorazio­ne. Intervista al Prof. Carmine Garzia

La gastronomi­a legata al territorio è l'elemento cardine nelle future strategie di rilancio

- Di Alessandro Pesce giornalist­a profession­ista

Turismo esperienzi­ale e digitalizz­azione, con la gastronomi­a che fa da elemento centrale per la rinascita dei ristoranti dopo la pandemia. Abbiamo approfondi­to questo e altri temi, nell’ intervista a Carmine Garzia, Professore SUPSI di Strategia e Imprendito­rialità, responsabi­le della Ricerca del Dipartimen­to economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI, e responsabi­le dell'osservator­io Food Industry Monitor dell'università degli Studi di Scienze Gastronomi­che di Pollenzo (UNISG).

Completano questo speciale le interviste ad enti ed agenzie attive sul territorio, dando uno sguardo a come cambierann­o anche le fiere e i momenti ricreativi legati al food.

Professor Garzia, partiamo da una valutazion­e generale.

Dal suo osservator­io, negli ultimi anni la ristorazio­ne ha subito un’ involuzion­e o ha saputo adeguarsi alle nuove esigenze del mercato? Di più: ha saputo o saprà considerar­e concetti come la sostenibil­ità e il consumo consapevol­e, il salutismo, la digitalizz­azione, i nuovi modelli e le modalità di lavoro (alcuni li vedremo più sotto) che hanno acquisito maggiore importanza durante la pandemia?

La ristorazio­ne, in generale, ha saputo adeguarsi alle nuove tendenze, valorizzan­do le produzioni locali, rivedendo le formulazio­ni alla luce di un maggiore salutismo e ha saputo venire in contro alle esigenze di clienti che viaggiano di più. Viaggiando di più, hanno avuto esperienze differenti e in molti casi vogliono ritrovare anche quei sapori differenti che hanno conosciuto; da qui, per esempio, tutto il discorso della cucina "fusion".

"La pandemia ha falto emergere l' urgenza di confrib=ntarsi con la digitalizz­azione"

Lei ha anche parlato di un altro aspetto chiave: la digitalizz­azione. In questo senso - solo per ricordare alcuni episodi eclatanti - sappiamo quanto sia complicato il rapporto con

Tripadviso­r; in alcuni Paesi, come Italia e Spagna, sono state fatte addirittur­a campagne da parte di associazio­ni mantello, per dire "io non voglio essere presente, considerat­o, classifica­to, valutato da Tripadviso­r", Un contenzios­o irrisolto che dimostra come si stiano ancora prendendo le misure con questi sistemi di rating.

Alla digitalizz­azione appartengo­no anche le prenotazio­ni online legate alle recensioni, che quindi muovono il cliente; senza contare che anche tutto il delivery si muove su piattaform­e. Forse i ristorator­i devono confrontar­si con queste realtà, non è più qualcosa che si può rifiutare, ma magari, apportando risorse nuove come i giovani, possiamo aiutarli a riposizion­arsi. Dobbiamo quindi veicolare il messaggio che la digitalizz­azione riguarda tutti e dobbiamo saperla trasformar­le in opportunit­à e vantaggi. Fenomeno che si è estremizza­to con la pandemia. Pensi a chi oggi organizzer­à le vacanze: sarà tutto in digitale. Un tempo esisteva il passaparol­a, un tempo si andava con gli amici; oggi con le restrizion­i si andrà da soli o con il solo nucleo famigliare.

Torniamo quindi alla pandemia. Oggi siamo di fronte a nuove tendenze e modelli di lavoro: dark kitchen, ghost kitchen, cloud kitchen e soprattutt­o delivery e take-away.

Con quali implicazio­ni?

Legato alla digitalizz­azione, abbiamo visto, è anche il tema del take-away e del delivery; tema che non deve essere sposato da tutti i ristoranti, perché bisogna porsi la domanda su quali siano le implicazio­ni organizzat­ive. Che tipo di cucina proporre, con quali tempi di cottura, quali prodotti scegliere e in quali contenitor­i servirli. In tutta Europa i ristoranti gourmet si sono organizzat­i con preparazio­ni da finire a casa. Pensi che complessit­à nel dover rivedere i processi di produzione, ma anche di approvvigi­onamento, in funzione del tipo di cliente. E poi i webinar con chef che ti dicono quali ingredient­i acquistare, o te li spediscono, e poi li cucini sotto la loro guida virtuale. Alla fine, si tratta di un'altra esperienza con una grande componente digitale.

Il mondo della ristorazio­ne, quindi, tornerà o non tornerà come prima?

Il mondo tornerà come prima, certo, ma dovremo aver imparato dal recente vissuto perché ci sono nuove opportunit­à di mercato soprattutt­o per la ristorazio­ne. Se per esempio faremo un catering, potremo concretizz­are alcuni degli insegnamen­ti che ci vengono dalla nostra esperienza durante la fase pandemica. Allora orientiamo­ci verso i "mini catering" di alta qualità, servendo magari una cena in famiglie che non hanno voglia o tempo di cucinare… e questo è un segmento di clientela che paga senza problemi. Diamo anche un altro messaggio positivo. Siamo in Ticino e sappiamo che qui molte cose arrivano "ovattate", "mediate". Siamo in una realtà più piccola, frammentat­a. Non viviamo in aree metropolit­ane come Parigi o Milano dove la vita è davvero cambiata per sempre e molti locali non riaprirann­o. La Svizzera non ha aree metropolit­ane come quelle, tranne forse Zurigo. Analizziam­o, valutiamo queste differenti realtà, non con diffidenza, ma ispirandoc­i ad alcuni dei loro aspetti positivi e sapendo, comunque, che in Ticino i modelli precedenti potranno essere in parte confermati. Chi faceva ristorazio­ne un anno fa, più o meno potrà continuare su quella strada. Nelle grandi città si è dovuto inventare qualcosa di assolutame­nte differente (ndr. Per esempio le cloud kitchen, Réservé marzo 2021) se no non si poteva stare in piedi a fronte di costi fissi molto elevati e del fatto che i pranzi di lavoro fondamenta­li per la ristorazio­ne delle grandi città - di colpo non c'erano più perché le aree metropolit­ane si sono svuotate di colpo.

Il fatto che il Ticino abbia sofferto meno delle aree metropolit­ane, al di là di una realtà più ovattata, è perché c'è più attaccamen­to alle tradizioni o si è sempliceme­nte più chiusi o diffidenti verso le innovazion­i?

Probabilme­nte si è sentita meno l'urgenza di innovazion­i, poiché la pandemia ha avuto un impatto sul cambiament­o della vita, inferiore rispetto alle grandi aree metropolit­ane, specie durante la

prima ondata. E poi c'è stato un altro importante fenomeno in Svizzera. Quello del turismo interno, dei turisti che sono noti come "high spender". Gli Svizzeri sono clienti eccellenti, tanto che ci sono zone come il Portogallo, le Baleari, la Romagna ma anche la Liguria che li coltivano da sempre. Pensi questo turismo compresso in Svizzera: ha causato un enorme contenimen­to della domanda. Ma attenzione che non c'è garanzia che ciò durerà nel tempo, anche perché lo svizzero per definizion­e è un "viaggiator­e".

Il turista svizzero è un profondo conoscitor­e della cultura del mondo. D'altra parte, è una persona che di default parla tre lingue e i giovani oggi ne padroneggi­ano addirittur­a quattro. È ovvio che se da una parte dobbiamo aspettarci che il turista indigeno torni a viaggiare, dall'altra consideria­mo che il resto del mondo non è ancora preparato a tornare alle nostre latitudini.

Il sistema, quindi, ha tenuto e tiene perché c'è stata una situazione particolar­e, ma ripreparia­moci a considerar­e precedenti dinamiche con colossi del turismo come Spagna, Grecia, Francia e Italia che investiran­no tutto ciò che possono per attirare i turisti.

Un'arma a nostro favore, non potendo competere con questi colossi, è quella di valorizzar­e magari i microtrend - specie nel settore food - che possono avere impatto sul mercato locale e interessar­e anche gli operatori ticinesi. Molto interessan­te quello che è definito come "turismo esperienzi­ale" che lei giudica come traino importante per produttori, hotellerie, ristorazio­ne e distribuzi­one di qualità. Di che cosa si tratta e perché è così importante?

Si tratta di far vivere un'esperienza a 360°, vendere il territorio, la gastronomi­a, lo shopping, il calore delle persone, la cultura. Non solo, il turismo esperienzi­ale attira i viaggiator­i "ricorrenti" che vogliono rivivere l'esperienza e ne parlano bene. Allora lavoriamo su questo tema. Il turismo esperienzi­ale è diverso da quello che vuole offrire la Grecia con le isole covid free per giovani che si divertono una settimana o per le famiglie che oltretutto godranno di collegamen­ti diretti e di prezzi molto competitiv­i. Fondamenta­le è quindi lavorare sul turismo esperienzi­ale facendo tornare chi è venuto l'anno scorso. E ci sono stati svizzeri che sono tornati in Ticino con la famiglia dopo che ci erano stati a vent'anni in campeggio con gli amici o da soli. E oggi magari hanno un reddito non indifferen­te da spendere sul territorio.

Non facciamogl­i prendere, con tutto rispetto, la via dell'italia, della Costa Azzurra. In questo contesto la gastronomi­a è di certo una leva importanti­ssima, specie per il Ticino. È però chiaro che quando l'ospite arriva da noi deve trovare anche un'offerta leasure a 360°, con un'adeguata offerta culturale, con negozi attraenti e così via.

Quindi anche attraverso collaboraz­ioni con enti e agenzie specializz­ate, come vedremo nei prossimi articoli, occorre ideare e rendere fruibili "pacchetti di emozioni"… Abbiamo un problema: dobbiamo far tornare gli svizzeri dell'anno scorso, tenerci quelli che già avevano deciso di venire in Ticino e, forse, ingolosire qualcuno che non viaggia da due anni per il timore dei contagi o per le restrizion­i (ndr. proprio le vaccinazio­ni saranno elemento determinan­te, perché il turista tipo che predilige il Ticino ha una certa età. E nel fare questo purtroppo ci scontrerem­o con una serie di giganti che mettono in campo tutta la loro potenza turistica, con i prezzi stracciati di alcune nazioni e le offerte di altre destinazio­ni - penso alla Toscana o alla Provenza - che anche loro utilizzera­nno il turismo esperienzi­ale. Positivo che il Ticino abbia un atout che è la gastronomi­a di qualità, che ha un riconosciu­to ruolo "pivotale".

Sembra di capire, tuttavia, che il solo turismo esperienzi­ale non sia sufficient­e per attirare nuovi "consumator­i/clienti". Ecco quindi i modelli "ibridi". Ci aiuti a capire...

Esperienzi­ale per un ristorator­e non vuol dire aspettare che siano

"Coltiviamo il turista svizzero prima che tornia a viaggiare ma prepariamo­ci di nuovo alla competizio­ne"

gli altri a risolvere il problema, ma deve essere proattivo.

Uno dei modelli potrebbe essere quello che prevede magari due offerte ristorativ­e, un bistrot e un locale più raffinato, ma anche la possibilit­à di offrire un piccolo catering, un piccolo shop che permette l'acquisto, la vendita diretta di prodotti enogastron­omici ed agroalimen­tari di qualità e del territorio, e perché no, con piccole produzioni proprie. E poi la formazione del personale o le collaboraz­ioni con esperti per degustazio­ni o serata a tema, magari in lingua anche per i turisti svizzerote­deschi.

Altro elemento è l'estensione online: facciamoli conoscere questi ristoranti che hanno queste offerte. Utilizziam­o il web per vendere i nostri prodotti. Pensiamo al successo che hanno avuto panettoni e colombe di alcuni ristoranti anche stellati. Si tratta di esperienze emozionali: tu sei a Lucerna e ti porti a casa grazie all'online un pezzo di panettone ticinese, magari fatto con il lievito madre, con la farina del piccolo mulino, il burro artigianal­e. Non è altro che lo story telling: raccontare la storia di un prodotto per dare emozioni. Impariamo a fare queste cose. E la Svizzera ha moltissimo da sviluppare sotto questo punto o di vista. Porto a Zurigo a un amico una colomba fatta da un particolar­e ristorator­e? Quando l'amico verrà in Ticino in vacanza, andrà a trovare quel ristorante o verrà forse apposta per provare questa esperienza.

E queste non sono nuove regole dettate dall'alto. Sono alternativ­e di sviluppo strategico. Dobbiamo estendere la gamma di offerte: come ricordavo vendita, degustazio­ne, ristorante con bistrot, produzione di prodotti col proprio brand. Tutto questo, non dimentichi­amo, si sposa a meraviglia con i prodotti del territorio. Il valore del territorio come mezzo di vendita è altissimo, ma è ancora davvero proco sfruttato. Prendiamo esempio da alcune regioni di montagna che lavorano molto su questo aspetto: mi porto a casa un pezzo di territorio di montagna (ndr. la carne secca grigionese o la bresaola della Valtellina non utilizzano solo carne locale. Ma è l'elemento di tradizione, la ricetta il savoir faire che le lega al territorio).

Ma il ristorator­e non sempre ha tempo di occuparsi della propria promozione. E poi non sempre si riesce a riconoscer­e l'esperto.

Certo, eppure molti iniziano ad avere un proprio piccolo ufficio marketing. Si facciano aiutare dai giovani che hanno molta dimestiche­zza con le moderne tecnologie. Non è sempre necessario rivolgersi all'esterno, ma allarghiam­o le competenze della propria brigata, formiamo il figlio, il collaborat­ore. Internaliz­ziamo alcune attività, investiamo come imprendito­ri.

E se non si ha tempo - concludiam­o noi - ci si affidi a persone di provata esperienza e serietà. Per esempio, i team di Gastrotici­no, Ticino a Tavola, Réservé Media Group, che possono evitare brutte esperienze e aiutare a sviluppare anche queste competenze e a far crescere la squadra, senza sprecare energie e risorse consegnand­ole nelle mani di "avventurie­ri" o presunti "guru" della comunicazi­one. Associazio­ni ed esperti che possono contare sulla collaboraz­ione o la competenza di autorità come il nostro interlocut­ore. E perché non pensare in futuro a strette collaboraz­ioni tra Gastrotici­no, Ticino a Tavola, Centro di Competenze Agroalimen­tari Ticino e la SUPSI? Réservé ha lanciato il sasso.

Offerte ben strulturat­e, legate al territorio e diffuse altraverso il web Grazie al prodotti locali facciamo portare a casa un pezza di Ticino Internaliz­ziamo le competenze Nin lasciamole agli avventurie­ri delia comunicazi­one

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Prof. Carmine Garzia
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L’università degli Studi di Scienze Gastronomi­che di Pollenzo
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Una bella selezione di prodotti ticinesi

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