Europei: Leemann e la cultura giapponese
Il cuoco "stellato" Pietro Leemann ci parla della gastronomia nipponica
Con un anno di forzato ritardo, Olimpiadi e Paraolimpiadi sono finalmente pronte a sbarcare a Tokyo. Al momento di scrivere, ancora non si sa, però, come verranno gestiti – già decisa da mesi l'esclusione degli stranieri – gli spettatori indigeni: del resto, pure nel mondo dello sport l'unica certezza è che di certezze ce ne sono ormai ben poche. La… curiosità, invece, è totale: perché quelle giapponesi sono una realtà e una cultura poco o pochissimo conosciute da buona parte di noi. Sushi e sashimi a parte, verrebbe da dire, considerato il contesto gastronomico di questa rivista. E invece no: credere che i giapponesi mangino unicamente pesce crudo, è come pensare che i ticinesi si nutrono solo di polenta, gli svizzero-tedeschi di rösti e i romandi di raclette…
La conferma ce la dà nientepopodimeno che Pietro Leemann, il 60enne valmaggese primo cuoco europeo ad ottenere una stella Michelin con un ristorante vegetariano (il "Joia" di Milano), il cui percorso per così dire evolutivo partì proprio dalla terra del Sol Levante, dove alla fine degli anni Ottanta visse per un paio d'anni a strettissimo contatto con colleghi giapponesi e cinesi in un reciproco quanto fondamentale scambio di esperienze e di culture non solo culinarie. "Il Giappone – ci dice Leemann – ha sviluppato una capacità straordinaria di imparare da altre culture, migliorandole sotto ogni punto di vista. Dagli orologi alle auto, dal tempura imparato dai portoghesi, alla pizza e alla pasta, dalle baguette alla cucina coreana molto amata da tutti. I giapponesi apprezzano il buono e soprattutto il bello, saltando tranquillamente dalla trattoria Mamma Mia di Tokyo al sofisticato ristorante di sushi dove due piccoli pezzi di pesce pur sublimi possono costare 100 franchi e più". La tradizione gastronomica nipponica rimane ad ogni buon conto profondamente radicata, ed era"principalmente legata ai cereali abbinati a verdure e pesce – ci racconta Pietro Leemann – All'inizio del 1900 l'aspettativa di vita era di 85 anni per gli uomini e 87 per le donne. Dopo la seconda guerra mondiale i vincitori hanno convinto i giapponesi al consumo della carne rossa e del fast food, e la loro aspettativa di vita si è notevolmente abbassata, adeguandosi a malattie e standard occidentali… La grande cucina giapponese, Kaiseki, deriva da quella dei templi zen, Shojin, che era prettamente vegetale. La loro preparazione non ha eguali per raffinatezza. Il cibo è pensato come strumento di elevazione spirituale ai livelli più alti, tant'è vero che nella gerarchia di quei templi il cuoco è secondo solo all'abate, data l'enorme importanza del cibo".