Réservé Magazine

IL “TIME OUT” DI BRUNO ROGGER

Dallo stadio alla ristorazio­ne: la nuova vita di nostri ex sportivi profession­isti

- E Bruno Rogger se ne va... da “Lugano campione” (Edizioni GDP) di Piergiorgi­o Giambonini giornalist­a RSI

Storie simili eppure diverse, quelle che raccontano di due ex popolari discatori di casa nostra che per il loro dopo-carriera – o seconda carriera che dir si voglia – hanno scelto il mondo della ristorazio­ne. Già, perché se l’ ex attaccante dell’hcap Theo Wittmann per la sua nuova vita ha scelto le alture di Cardada, l’ ex difensore dell’hcl Bruno Rogger è invece rimasto in quella che da ormai quarant’anni è la sua Lugano. In pieno centro, anzi: via Peri, dove il suo “Time Out” è ben presto diventato un apprezzato punto di ritrovo e di ristoro.

Una sfida, l’ennesima in cui lo svizzero-canadese si è lanciato, partita da lontano. Come da lontano era partito lui appena uscito dalla Brandon University. Nato e cresciuto nella British Columbia, figlio di due svizzeri – Karl e Kathy – che lì si erano trasferiti per metter su famiglia, a 21 anni ha scommesso su quel passaporto rossocroci­ato “ereditato” dai genitori e si è lanciato all’avventura nel Paese d’origine dei suoi. Una scommessa vincente: una prima brevissima tappa a Wetzikon, e dal 1981

(“la stagione della promozione in A”, ricorda con orgoglio) per undici anni pedina fondamenta­le del Lugano quattro volte campione, e titolare pure della nazionale svizzera a quattro Mondiali e alle Olimpiadi del 1988 a Calgary, proprio nel “suo” Canada.

L’hockey è rimasto e rimane la sua grande passione, perché poi ha fatto l’assistente-allenatore e pure l’arbitro, e perché ancora oggi non si perde una partita dell’hcl.

Ma in parallelo Bruno Rogger ha sempre svolto anche un’ attività profession­ale part-time al di fuori dello sport (“erano altri tempi, potevi e in fondo – salvo qualche eccezione – dovevi farlo…”), prima in banca, poi in una fiduciaria. Dal 2011 con la compagna Cvijeta Jokic si dedica però anima e corpo al suo “Time Out”, la cui popolarità se la spartiscon­o alla pari il proprietar­io e i suoi hamburger.

“All’inizio sognavo uno Sport’ s Bar all’ americana – racconta – ma alla fine ho puntato sullo Snack Bar, per avere almeno le serate libere. Mi piace stare con la gente e chiacchier­are, ma ho anche bisogno di staccare…”.

Anche questa è stata dunque una scommessa vinta, e della quale Bruno, dopo dieci anni di attività a tempo pieno dietro il bancone e tra i tavoli, va giustament­e fiero: “È stata dura solo il primo anno di pandemia, con buona parte degli uffici chiusi e la gente chiusa in casa, ma dalla scorsa estate pian piano si è tornati per fortuna a una certa normalità”.

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