Cucina olimpica e… robotica alla cinese
Lo so, c’ è gente che dopo due giorni in un villaggio turistico scriverebbe (penserebbe di poter scrivere) un dossier socio-cultural-turistico su un Paese che nemmeno ha “assaggiato”. Non sono tra quelli, e mi guardo bene dal disquisire su Cina e Pechino (e relativi dintorni) che per tre settimane durante le Olimpiadi ho purtroppo visto solo dai finestrini di bus, taxi e treni vari, chiusi com’ eravamo in una rigidissima bolla. Transennati e “raminati” come nemmeno negli anni 80 al Check Point Charlie tra Berlino Ovest e Berlino Est. Nessunissima possibilità di contatto con chi non lavorasse, supervaccinato e quotidianamente tamponato, all’ interno delle zone olimpiche.
Non ho insomma visto nulla di “vero”, né – per arrivare a noi – assaggiato per davvero la cucina locale, se non in quei pochi ristoranti o mense aperti appunto all’ interno della bolla e riservati ai soli accreditati. Dalla Cina sono insomma tornato con ricordi e impressioni in tutti i sensi limitati, e tanta frustrazione (sinonimo in questo caso di dispiacere) per non aver visto e vissuto nulla di quello che in condizioni normali avrei potuto vedere e vivere.
Tant’ è. Tra i ricordi condivido allora quello della tecnologia dilagante anche nel mondo della gastronomia, visto e considerato che nel mega centro stampa di Pechino i cinesi hanno fatto spettacolare esibizione di servizio ai tavoli calato letteralmente dall’ alto, di robot programmati per cucinare patatine fritte e hamburger, e persino di un robot-barman capace di preparare al volo ogni genere di cocktail. E che dire poi del servizio in camera in hotel, con i pasti consegnati da un affidabilissimo robot?
La chiudo qui. Non senza però chiedermi: ma dove andremo a finire?