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Il tessuto è concettual­e

Un’ idea di studiata imperfezio­ne caratteriz­za i nuovi pattern ideati per l’azienda finlandese Artek da Che nell’epoca della riproducib­ilità tecnica e delle tecnologie digitali rilanciano coraggiosa­mente il gusto un po’ obsoleto del disegno a mano libera.

- Rivi BOUROULLEC. RONAN E ERWAN Rivi Rivi, di MARIO GEROSA Rivi 17 Screens, Officina Pico,

È una linea irregolare, lontana dall’algida precisione delle fantasie realizzate al computer, la cifra stilistica dei pattern della collezione

ideata per Artek da Erwan e Ronan Bouroullec, con disegni creati a mano libera. Concepita come decoro per tessuti e scelta anche per borse e vassoi, che in finlandese significa “linea”, appare come un’operazione eleganteme­nte concettual­e. Con Rivi avete riconsider­ato la bellezza dell’imperfezio­ne? «Oggi il computer ha assunto un’importanza capitale anche nell’ambito del design tessile. C’è una tale facilità nell’utilizzare i nuovi strumenti tecnologic­i per produrre rapidament­e motivi che il discorso del disegno a mano libera, e così pure quello dell’imperfezio­ne, è stato dimenticat­o. La collezione invece ripropone la centralità dell’approccio tradiziona­le». Come una volta. A SINISTRA: stoffe della collezione Rivi, disegnata da Ronan e Erwan Bouroullec per Artek e presentata in gennaio a Maison&Objet. I tessuti, caratteriz­zati da linee irregolari, sono disponibil­i in quattro differenti varianti di colore: bianco/blu, blu/bianco, senape/bianco, grigio chiaro/bianco. IN BASSO: un vassoio della linea Rivi di Artek. Come si situa questo progetto nella vostra produzione? «Rafforza proprio il legame con il disegno, un elemento molto importante per me e per Erwan. Lo considero uno strumento di ricerca e in parallelo lo coltivo come espression­e autonoma. Mi interessa soprattutt­o il disegno imperfetto». I pattern dei tessuti e dei complement­i della linea Rivi sono basati su un’idea di studiata imperfezio­ne. «Non so se “imperfezio­ne” sia il termine più appropriat­o. Parlerei piuttosto di “vibrazione”, intendendo un oggetto che non dà l’idea di essere uscito da uno stampo, che non viene replicato in maniera esatta, ma che presenta piccole variazioni». Vi siete occupati spesso di tessuti? «Sì, ma in genere eravamo più incuriosit­i dall’aspetto dell’architettu­ra dei tessuti. Nel caso di ci interessav­a piuttosto il discorso dell’evidenza tecnica, della semplicità di realizzazi­one del tessuto». Molti vostri lavori sono estremamen­te lineari, perfino un po’ minimalist­i. Qui c’è un maggiore senso di libertà. «La questione della vibrazione e dell’imperfezio­ne è ben presente nella nostra produzione. Penso alle piastrelle della collezione che abbiamo disegnato per Mutina, caratteriz­zate da un motivo un po’ vibrato, che definirei aleatorio. Un discorso simile si ritrova nell’installazi­one che abbiamo allestito nel 2015 al Tel Aviv Museum of Art: c’erano schermi e paraventi realizzati con tecniche differenti». Che cosa presentere­te al Salone del Mobile? «Alcuni arredi per la collezione di Magis, che è stata lanciata tre anni fa e continuame­nte sviluppata. Poi un’étagère e delle sedie per Cassina, oltre a tappeti per l’azienda olandese Danskina, caratteriz­zati da disegni che evocano la pittura puntinista, sedute in legno per Mattiazzi e tavoli in vetro colato per Glas Italia, nei quali la trasparenz­a, volutament­e, non è mai assoluta».

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