I MAGNIFICI SEI
Dal 1940 agli anni ’60 le loro creazioni hanno cambiato il paesaggio domestico contemporaneo. Una storica del design ha definito il loro approccio progettuale . Alcuni loro pezzi sono in mostra al Salone.
CRONACHE DAL SALONE Nel 1983 la studiosa e storica del design Cara Greenberg ha etichettato il furniture design, l’industrial design, l’architettura e la grafica americani del periodo che va dai tardi anni ’30 alla fine degli anni ’60, come “Mid-Century Modern”. Che cosa lo distingueva? Anzi tutto non si trattava di uno stile unitario, piuttosto attingeva e spesso mescolava tante fonti di ispirazione. Assommava una volgarizzazione del Déco chiamata Modernism, e una sua lettura in senso futurista che ne accentuava le geometrie plastiche secondo una visione estetica rubricata sotto il nome di Manhattismo perché legata alla linea dei grattacieli newyorchesi di Van Alen. Un filone fratello calcava sul registro della fluidità aerodinamica e raggiunge i suoi vertici formali con i treni, le auto, gli oggetti quotidiani di Raymond Loewy o Norman Bel Geddes. Ancora, nel melting pot del Mid-Century c’erano Funzionalismo e il design organico di Alvaar Aalto fortemente correlato a una visione stilizzata della natura. A interpretare e sintetizzare tale pluralità di stimoli fu, soprattutto, una mezza dozzina di progettisti. Furono, ciascuno a modo suo, Edward J.
Wormley, George Nelson, Eero Saarinen, Harry Bertoia, Charles e Ray Eames, Jens Risom a trovare il mix stilistico (la parola non è tuttavia corretta) capace di incrociare la sensibilità e il gusto delle giovani famiglie middle class e pure working class che si spostavano verso le villette dei nuovi sobborghi metropolitani. C’era un gran bisogno di mobili per arredarle e le massaie (più dei loro mariti che stavano fuori casa per due terzi della giornata), a causa anche della martellante comunicazione del cinema, delle riviste e della neonata televisione, rifiutavano i corpulenti sofà della mamma o della nonna e così i tavoli e gli armadi doviziosamente intagliati. Desideravano linee semplici, oggetti leggeri ma durevoli, seriali ma con una personalità singolare, facili da manutenere, pezzi che non sovraccaricassero lo spazio, con un mood allegro, già pop e fumettistico. per contrastare l’incubo dell’atomica. Icone della modernità tutta al positivo. Era questo il brief dei magnifici sei ed essi fecero il meglio per trasformarlo in progetti la cui attualità dura tuttora. Come dimostra la loro
partecipazione al Salone. □