I SEGNI DEL PROGETTO
Mai uguale a se stesso e allergico alle mode, GIOVANNI MICHELUCCI, uno dei protagonisti dell’architettura del ’900, ha disegnato tutto quello che ha costruito e ciò che non ha realizzato. Con un tratto inconfondibile che rivive in un volume di recentissim
Un volume per riscoprire le architetture di GIOVANNI MICHELUCCI.
Giovanni Michelucci (1891-1990) coltivò l’ars aedificatoria non assecondando mai le mode. Un posto nell’architettura del ’900 se lo conquistò nel 1933-35, quando, con un gruppo di allievi, vinse il concorso per la Nuova Stazione di Firenze, la più bella stazione che conosca per lo straordinario dialogo con l’abside medievale di Santa Maria Novella. Il percorso professionale è lungo e tortuoso perché mai aderente a una linea stilistica stabilita una volta per tutte. La casa, la chiesa, il mercato, l’edificio commerciale, il teatro o la banca sono punti di incontro con la città: luogo del dialogo in senso cristiano, filtro (non barriera), spazio aperto alla comunità. Michelucci disegnò tutto quanto ha costruito e quanto non è riuscito a realizzare. Due volumi della Fondazione Giovanni Michelucci fanno scorrere sotto gli occhi i suoi schizzi a matita e a penna dal 1935 agli anni ’80. Un corpus animato da uno spirito di curiosità intellettuale e di verità formale che ci consentono d’entrare nell’alambicco del mago. Perché il disegno è una radiografia di quanto avverrà nel cemento o nel ferro. Michelucci disegna con lo spirito di libertà che animava l’architettura toscana dalla civiltà medievale in poi. Spesso, durante la conversazione, schizzava senza staccare la mano dal foglio. Conservo una sua Torre Campanaria che mi donò. Il suo fu un magistero estinto con la digitalizzazione. Perché i disegni vivono di una loro vita, non sono “reperti archeologici”. La chiesa di San Giovanni Battista a Campi Bisenzio sull’autostrada del Sole è un esempio vibrante del suo talento. La chiesa ha pianta libera, segnata dal percorso liturgico. Con straordinarie vele, rette da possenti scarniti alberi di cemento: uno spazio che allude alla capanna, scandita da una
grande aula che induce il pellegrino verso l’altare grazie alla ribassata curva della copertura-tenda. Per le mura perimetrali ritorna la pietra delle colline circostanti, perché in effetti questa ardita capanna dai pavimenti “rocciosi” vuole essere parte integrante del paesaggio toscano. L’impatto della chiesa fu dirompente per l’innovativa cifra linguistica che conferisce allo spazio interno un sapore arcaico, una connotazione metastorica che è propria delle grotte, delle fenditure e degli anfratti che segnano l’Appennino: una poetica che non era di certo “neoespressionismo”, come scrisse lo storico Manfredo Tafuri, ma piuttosto affine alla tematica dell’Action Painting. La radicalità del gesto ha attinenze con la cappella di Ronchamp di Le Corbusier, ma non per vocazione formale quanto piuttosto per l’intenzionale e vigorosa volontà di rifiutare ogni forma progettuale costruita sulla geometria.