CAMERE CON VISTA SULLA CITTÀ
A Città del Capo, è stato inaugurato lo Zeitz Museum of Contemporary Art Africa-Zeitz MOCAA, il maggiore museo al mondo di arte contemporanea africana. Progettato dallo studio londinese Heatherwick su mandato di Jochen Zeitz, l’ex amministratore delegato di Puma, è il risultato di un’operazione di recupero e riconversione del Grain Silo Complex: un silo granario alto 57 metri, costruito nel 1921 e rimasto in disuso dalla fine degli anni ’90. Si trova sul Victoria & Alfred Waterfront, cuore storico del porto della città e uno dei luoghi più visitati di tutta l’Africa, e colpisce per le muscolose forme neobrutaliste. Nel Continente Nero non c’è un Guggenheim, nessuna Tate Modern, nessun grande museo di arte contemporanea, così Zeitz, appassionato collezionista di arte africana, ha pensato di incentrare il museo solo su opere realizzate dopo il 2000 provenienti dall’intera Africa. «Non vogliamo lavorare sul passato», ha affermato, «vogliamo contribuire a modellare il futuro». Investimenti per 34 milioni di euro, 100 gallery ripartite su 9 livelli, 6.000 metri quadrati espositivi, un giardino di sculture sul tetto, aree di conservazione e restauro all’avanguardia, biblioteca, ristorante, un ricco bookshop e sale di lettura: lo Zeitz MOCAA si propone come una istituzione culturale innovativa, volta a dar forma a un’identità artistica africana attraverso l’esposizione di artefatti di oggi, e anche con un lavoro di ricerca, raccolta e ostensione di ciò che offre il patrimonio creativo africano disperso nel mondo. Dal grano all’arte. 1. Lo Zeitz MOCAA è stato ricavato in un ex silo granario costruito nel 1921 nel V&A Waterfront nel cuore di Cape Town. Di Mohau Modisakeng, (inquadrature III, V e VII, 2014), e 2014). 3. Installazione (2014) di Zanele Muholi, e Bester I (2015) di Mayotte. 4. L’atrio del museo è un gigantesco pozzo alto 33 metri occupato da un cluster di enormi cilindri di cemento tagliati. Come dice Mark Coetzee «una cattedrale industriale per la cultura». Si nota l’opera Iimpundulu zonke ziyandilandela (2011, per la Biennale di Venezia) del sudafricano Nicholas Hlobo. 5. Senza titolo (2015), installazione di Kyle Morland.