Per dare di più
Il secondo incontro di “Seven for the Future” è con FEDERICO PERI, autore di oggetti dalla funzionalità polivalente.
Estetica e funzionalità nei progetti ideati da FEDERICO PERI.
Tu nasci come interior designer, però ti stai appassionando al design di prodotto. Che cos’è per te questo tipo di design? Lo vivo come una sfida, creare oggetti che possano vivere a lungo anche grazie a un’intelligenza nascosta, non percepibile di primo acchito, ma che si svela quando usi il prodotto. Considerata la mia provenienza dall’interior design, li penso perché possano dare un’impronta al paesaggio domestico indipendentemente dal suo stile, e perché instaurino un’interazione tra sé e chi li adopera. Di solito parto da un’idea, da un concetto, anche da una riflessione mia su ciò che è già stato fatto e ciò che serve, e cerco di tradurre tutto questo in progetti funzionali. E gradevoli al senso estetico altrimenti nessuno se li fila. In genere le tue creazioni sorprendono con la loro polivalenza “comportamentale”... Credo che derivi dal mio essere anche interior designer: più che prodotti, mi piace pensare comportamenti. La Biblioteca itinerante lo spiega bene. Volevo uno spazio dove leggere e rilassarmi. Così ho ideato un ensemble con tutti gli elementi di una biblioteca: una poltrona, un sedile, scaffali spostabili e illuminazione ad hoc. È un miniambiente autonomo e user friendly, una machine-à-habiter in piccolo. Lo stesso approccio polivalente vale per la seduta Living in a Chair fatta con Nilufar o per la seduta “a sella” che è parte di un set progettato per Il Bisonte. Nelle lampade a sospensione realizzate per Nilufar o nella
«MI PIACE SENTIRMI LIBERO DI ESPRIMERMI NEL PROGETTARE ARREDI O PRODOTTI».
FEDERICO PERI
piantana Galerie, di FontanaArte, è la posizione dei corpi illuminanti che può essere cambiata. Mi piace che gli oggetti lascino all’utente un certo grado di libertà. Nei tuoi pezzi ricorri molto al metallo… Questione di dna. Mio nonno aveva una fabbrica di scaffalature metalliche e io passavo ore a giocare con gli scarti di produzione, come fosse il Lego. Così l’ottone è diventato per me una grande risorsa. Però devo dire che anche il vetro, la pelle, il legno, la pietra, insomma i materiali “che invecchiano” (non la plastica) mi intrigano e sto cercando di conoscerli meglio. D’altronde il mio riferimento, insieme a Vincenzo De Cotiis e Edward Wormley, è Carlo Scarpa, che dei materiali era un “maniaco”. Come descriveresti il tuo lavoro? In primis cerco di essere intellettualmente onesto con me stesso. Poi di fondere nel progetto tradizione, artigianalità, innovazione e un po’ d’arte. Finora ho lavorato quasi solo per edizioni limitate grazie anche al sostegno impagabile di Nina Yashar, titolare di Nilufar. Ma ora sento l’esigenza di cimentarmi con il processo industriale. Nei limiti del possibile, alle mie condizioni.