AD (Italy)

«L’ARTE NON È INTERPRETA­ZIONE, MA TRASFORMAZ­IONE».

- ARTURO MARTINI

poi Ritratto dello Zio, plasmato con tratti da manichino metafisico di dechirichi­ana e carrariana ascendenza. E ancora La Bagnante, sconvolgen­te figura ossimorica di tanto ieratica quanto sensuale plasticità. E per intero c’è «il racconto più bello», così Martini soleva chiamare il presepe. Il Presepio piccolo e il Presepio grande, «completame­nte diversi tra loro ma complement­ari (verticale l’uno, orizzontal­e il secondo), pittorico il primo, scultoreo il secondo, veri e propri gruppi plastici», come spiega Nico Stringa, curatore dell’esposizion­e, docente di Storia dell’arte e grande cultore di Martini. Tutti da godere il San Giorgio e il drago e Lo sposalizio dei

Principi, e poi i piatti decorati per i quali Martini s’inventa pittore di vaglia, le formelle della Via Crucis, in una versione con smalti opachi differente da altre più note, le opere felici eseguite per la bottega La Fenice di Manlio Trucco in sentimento novecentis­ta e stillanti un’ironia quasi ingenua: La gabbia d’oro, La schiava del mostro, La donna romantica. Una mostra che emoziona e aiuta a capire la multipla grandezza di Martini, il maestro dei silenzi che affabulano. Plastici e colorati. in alto, da sinistra: Cavallo, terracotta, 1926, cm 58x52x23; La gabbia d’oro, maiolica dipinta a mano, cm 27x17; Il Pensieroso, maiolica dipinta a mano, cm 25x11x14. 1927.

a sinistra: Presepio grande, terracotta, 1926-27, cm 47x56.

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