«L’ARTE NON È INTERPRETAZIONE, MA TRASFORMAZIONE».
poi Ritratto dello Zio, plasmato con tratti da manichino metafisico di dechirichiana e carrariana ascendenza. E ancora La Bagnante, sconvolgente figura ossimorica di tanto ieratica quanto sensuale plasticità. E per intero c’è «il racconto più bello», così Martini soleva chiamare il presepe. Il Presepio piccolo e il Presepio grande, «completamente diversi tra loro ma complementari (verticale l’uno, orizzontale il secondo), pittorico il primo, scultoreo il secondo, veri e propri gruppi plastici», come spiega Nico Stringa, curatore dell’esposizione, docente di Storia dell’arte e grande cultore di Martini. Tutti da godere il San Giorgio e il drago e Lo sposalizio dei
Principi, e poi i piatti decorati per i quali Martini s’inventa pittore di vaglia, le formelle della Via Crucis, in una versione con smalti opachi differente da altre più note, le opere felici eseguite per la bottega La Fenice di Manlio Trucco in sentimento novecentista e stillanti un’ironia quasi ingenua: La gabbia d’oro, La schiava del mostro, La donna romantica. Una mostra che emoziona e aiuta a capire la multipla grandezza di Martini, il maestro dei silenzi che affabulano. Plastici e colorati. in alto, da sinistra: Cavallo, terracotta, 1926, cm 58x52x23; La gabbia d’oro, maiolica dipinta a mano, cm 27x17; Il Pensieroso, maiolica dipinta a mano, cm 25x11x14. 1927.
a sinistra: Presepio grande, terracotta, 1926-27, cm 47x56.