Massimo Iosa Ghini racconta il BOLIDISMO, l’ultimo movimento del ’900.
Fondato nel 1986, il BOLIDISMO propugnava, con uno spiccatissimo senso della comunicazione, forme dinamiche, leggere, fumettistiche. Uno dei suoi protagonisti, Massimo Iosa Ghini, ce lo racconta.
Alla fine degli anni ’80 per il design era tempo di Bolidismo, l’ultimo movimento del Novecento, e forse l’ultimo in assoluto. Movimento nel senso culturale ed estetico, strutturato, con un proprio Manifesto e un cerchio magico, 16 sodali uniti, pur nelle differenze di personalità ed esperienza, da un sentire comune. I loro nomi? Pierangelo Caramia, Daniele Cariani, Maurizio Castelvetro, Maurizio Corrado, Dante Donegani, Fabrizio Galli, Giovanni Tommaso Garattoni, Stefano Giovannoni, Bepi Maggiori, Massimo Mariani, Giusi Mastro, Anna Perico, Roberto Semprini, Ernesto Spicciolato, Guido Venturini. E Massimo Iosa Ghini, oggi architetto e designer di fama mondiale che è con noi per parlarci di quell’avventura stemperatasi giusto trent’anni fa, ma rimasta linfa vitale nel lavoro di chi al Bolidismo aderì. Chi eravate, gli chiediamo? «Un gruppo di neolaureati e docenti che gravitavano intorno alla facoltà di Architettura di Firenze, a Remo Buti e Gianni Pettena, figure carismatiche, già anima del Radical Design e dei Global Tools. L’atmosfera fiorentina era ipercritica, utopistica, si discuteva su Alchimia e Memphis che erano al tramonto di cui ci sentivamo continuatori ma pure antagonisti. Ma c’era anche una
vena edonistica, vari di noi erano emiliani o romagnoli più inclini al divertimento, e c’era anche una noce di concretezza dovuta a un legame con Milano, pur sempre il motore del design». Ma che cos’era il Bolidismo? «Prendendo spunto da uno dei nostri scritti dell’epoca: movimento, leggerezza, molteplicità, divenire, azione. Spunti da Futurismo e Streamline, dalla forma organica, dalla linea curva come espressioni di velocità. Si pensava che si dovessero spazzar via gli anni bui di neoclassicismo, postmoderno e nuove accademie. Parlavamo di città fluida, di immobilità combinata alla presenza simultanea in ogni luogo, di velocità meccanica che lasciava il passo all’istantaneità elettronica». Una sorprendente anticipazione della società della Rete... «Un’intuizione che rivendico con orgoglio, oggi sembra ovvia e banale, ma al tempo era davvero visionaria. Puntavamo moltissimo sulla comunicazione, sfruttando l’immagine, la capacità di raccontare le idee rapidamente con medium anomali come il fumetto, allora facevo gruppo anche con dei big dei comics come Andrea Pazienza e Igort. Quasi tutte le riviste con AD in testa ci adottarono subito. Ecco, il Bolidismo è stato prima di tutto comunicazione e, insieme, linguaggio». O somma dei linguaggi in cui semantica e sintassi erano un tutt’uno. Quali sono i prodotti emblematici del Bolidismo? «Direi la Bolid Case di Giovannoni e Venturini, loro usavano modellini che fotografavano facendoli diventare come veri. E poi, considerando quelli industrializzati, i miei, per esempio la poltrona Otello o la panca Piana». FINE
«NELLA CITTÀ FLUIDA IL CONTATTO FISICO PERDE IMPORTANZA A FAVORE DEL CONTATTO ELETTRONICO». MASSIMO IOSA GHINI,1988