MISURA E OPULENZA
In un palazzo del ’500 a VENEZIA epoche, materie e ambiti artistici convivono come in un’eclettica collezione. Grazie a un’idea degli interni che annulla lo scorrere del tempo.
— Nel cuore di VENEZIA, in un palazzo cinquecentesco, è protagonista un’eclettica idea della filosofia dell’arredamento.
A SINISTRA: IL PORTEGO AL PIANO NOBILE: DECORO MURALE IN MARMORINO REALIZZATO DIRETTAMENTE IN OPERA IN STILE NEOCLASSICO DA MATTEO CORVINO. CHAISE LONGUE DEL 1932 DI MARC DU PLANTIER. LAMPADA IN FERRO DORATO, PIETRE SEMIPREZIOSE E PERGAMENA DI MARC DU PLANTIER DEL 1950. QUADRO PORTA DELLE TERESIE DI ROGER DE MONTEBELLO. APPLIQUE IN VETRO DI MURANO DISEGNATA DA MATTEO CORVINO. STATUA IN TERRACOTTA ANNERITA TASSO DI PATRICIA ZIESENISS.
MMatteo Corvino, veneziano, è un interior designer, scenografo, regista e organizzatore di eventi di fama internazionale. Una carriera di attore di cinema e teatro alle spalle – esordi in palcoscenico con Romolo Valli e De Lullo, su testo di Peppino Patroni Griffi –, è molto noto per i grandi eventi che organizza, sia privati che per i maggiori marchi del lusso, in ogni parte del mondo. La sua ultima fatica è l’installazione multimaterica realizzata in collaborazione con i laboratori di San Patrignano, che accoglieva i visitatori alla XXXI Biennale di Antiquariato di Firenze, incastonando due colossali lampadari anni ’50 di Carlo Scarpa per Venini. Suo anche il restyling stilistico della rassegna, che risale alla scorsa edizione.
Cultura poliedrica e humour, Matteo, eterno ragazzo, insuperabile maestro in cucina e sofisticato
anfitrione – un pranzo da lui diventa una vera e propria esperienza estetica – è un appassionato difensore degli animali, proprietario di otto cani trovatelli. Insomma, non lo si può che definire eclettico. Dopo molti anni trascorsi tra Roma e Parigi, nei primi ’90 Corvino si è nuovamente trasferito nella città natale. Il suo intervento in questa residenza incastonata in una zona centrale della Serenissima, ma miracolosamente preservata dai flussi turistici, inizia proprio in quel periodo. E seguita fino a oggi, lungo un filo che avvolge tre decenni di vita e di ricerca, di emozioni e di lavoro. «Si trattava», racconta Matteo Corvino, «di reinventare praticamente da zero l’anima ancestrale di un palazzo patrizio cinquecentesco, già appartenuto ai Balbi e ai Mocenigo, ristrutturato in maniera “ospedaliera” negli ’80, dopo una serie di manomissioni e l’abbandono che ne aveva compromesso la spazialità originaria e cancellato ogni apparato decorativo. La facciata esterna, animata da vaste serliane sovrapposte, appariva intatta, mentre all’interno rimanevano soltanto alcuni pavimenti “a terrazzo”
veneziano, travi alla “sansovina” e qualche residuo di stucco, tre camini in “Rosso Verona” e un soffitto settecentesco dipinto. Dietro si estendeva un giardino molto ampio rispetto agli standard locali, con un pozzo rinascimentale e selciati in pietra d’Istria, racchiuso da un sipario di alberi che ne proteggevano l’intimità, facendoti sentire come in campagna».
La prima fase del recupero avviene nel portego, quel salone centrale di forma allungata che è il cardine dell’edilizia privata veneziana fin dall’epoca gotica. Ambiente dalle molte funzioni, showroom degli antichi mercanti, luogo della festa, di trattative e incontri, che di solito corre da una facciata all’altra delle dimore in Laguna, perpendicolare al canale o al rio su cui prospetta.
«Con gli ultimi artigiani dello stucco locali», aggiunge Corvino, «eredi di un’arte che, grazie a Stazio e Tencalla, sigla l’intero XVIII secolo del tramonto repubblicano, ho pensato di dare vita a una teoria di paraste ioniche che sormontavano delle partiture con cornici in aggetto e marmorino grigio e rosa. Una griglia decorativa che restituiva al portego simmetria ed equilibrio spaziale. Il linguaggio era quello del primo neoclassico, congeniale al gusto del padrone di casa, studioso e collezionista di arredi, dipinti e oggetti dal Directoire all’Impero e al contempo capace di identificare una linea ornamentale elegante e leggera. Tra le paraste spiccano delle applique rocaille molto mosse, che ho fatto fare a Murano e montato io stesso». Una coppia di paraventi giapponesi Edo, raffiguranti il parco imperiale di Nara popolato da cervi, dialoga con le consolles in ferro dorato e i grafici candelieri di Marc du Plantier arricchiti da grossi cristalli e ametiste. Non mancano le essenziali visioni veneziane di Roger de Montebello e opere in vetro di Massimo Micheluzzi e Laura de Santillana. Nel salotto verde, i colori tenui delle sete Luigi XVI alle pareti, tese su pannelli come si usava nel Settecento, furono suggeriti dall’affresco della cerchia di Guarana sul soffitto, un’allegoria della fede cattolica, tra cieli ter
si e luminosi. Spiega Corvino: «È un’ allusione all’ordinazione di Ignazio de Loyola, il fondatore della Compagnia di Gesù, e di San Francesco Saverio, qui avvenuta quando la casa, tra XVI e XVII secolo, era affittata a un vescovo che vi ospitava pellegrini in partenza per la Terrasanta dalla vicina area portuale. Altrove, come in sala da pranzo, ho voluto usare un tessuto Fortuny d’epoca restaurato con cura, che contrasta con il tavolo geometrico in specchio e bronzo dorato che ho disegnato per accompagnarsi alle sedie “égyptiennes” di Marc du Plantier degli anni ’30 del Novecento». Il segno di Marc du Plantier, pittore, architetto e designer francese attivo per almeno quattro decenni fino agli anni ’70 e legato alla famiglia del committente, percorre un po’ tutte le stanze, miscelandosi rigoroso e astratto ad arredi soprattutto rococò veneziani e francesi, pendules sette-ottocentesche, a mobili neoclassici provenienti da abitazioni precedenti, a dipinti e sculture di varia epoca, ad arazzi e vetri veneziani dall’Art Nouveau ai giorni nostri, fino all’opera site specific di Alessandro Diaz de Santillana nel portego. Corvino ha contribuito attivamente alla riscoperta di Marc du Plantier, personalità centrale nel dibattito delle arti decorative in Francia, Spagna, Usa e nelle colonie francesi nel XX secolo.
Le cornici delle porte, in pietra d’Istria o serpentino trompe-l’oeil, i sovrapporta con medaglioni barocchi veneti o nicchie e panoplie in stucco dorato, scandiscono enfilades scenografiche e armoniose.
Lasciano intravedere la biblioteca ricca di volumi e legature antiche in marocchino, che, sul damasco verde intenso, custodisce tele, incisioni e acquerelli di Hoppner, Philibert-Louis Debucourt e Helleu, bronzi Empire, busti e cimeli napoleonici. Il décor, in questa residenza a Venezia, è insieme opulento e misurato. C’è sempre un contrappunto contemporaneo che attraversa questo corpus collezionistico composito e affascinante, percorso da ragioni letterarie, nel quale si accostano liberamente epoche, materie, personalità e ambiti artistici. Matteo Corvino ha riconnesso il passato con il presente, ha ricostruito pazientemente una storia interrotta. Ha saputo scrivere una partitura decorativa che scavalca e annulla lo scorrere del tempo.
Il segno di MARC DU PLANTIER, pittore, architetto e designer francese attivo fino agli anni ’70 e legato alla famiglia del committente, percorre un po’ tutte le stanze, miscelandosi rigoroso e astratto ad arredi soprattutto rococò veneziani e francesi.