ROCK MOUNTAINS
Negli chalet di Claude Nobs, tra gli archivi, le collezioni e le memorie dell’uomo che inventò il MONTREUX JAZZ FESTIVAL.
— Il ricordo di Claude Nobs è presente nei suoi chalet di MONTREUX, tra le storiche registrazioni e i cimeli del jazz e del rock.
Forse non ve ne siete mai accorti, ma il nome di Claude Nobs l’avete sentito centinaia, se non migliaia di volte. È lui il “Funky Claude” di una delle strofe di Smoke on the Water, la hit dei Deep Purple, quella che dice “Funky Claude was running in and out pulling kids out the ground”. Parliamo di Claude Nobs, personaggio chiave della musica, che nel 1967 fondò il Montreux Jazz Festival. In quella strofa si ricorda come, dopo l’incendio scoppiato durante il concerto di Frank Zappa al casinò di Montreux, nel 1971, Nobs si fosse prodigato con grande coraggio a strappare alle fiamme tante persone in preda al panico. Un’impresa eroica, che contribuì a proiettare Nobs nella sfera della leggenda. Morto nel 2013, Claude Nobs vive ancora idealmente, grazie ai cimeli dei suoi chalet di Montreux. «Si tratta di tre chalet», spiega Simon Lepêtre, event manager di Claude Nobs Chalets. «Le Picotin in origine era una vecchia fattoria, che Claude acquistò negli anni ’80, facendola ristrutturare, trasformandola in un luogo per ricevere amici e ar
tisti, dove sono sistemati gli archivi del Festival, Le Grillon è un grande chalet costruito nel 2006, mentre L’Éclisse è un piccolo chalet per artisti dedicato alla cantante canadese Shania Twain, che spesso viene qui per ritemprarsi e per comporre. Gli chalet sono case private e vi si organizzano eventi per gli appassionati dell’arte e della natura. La disposizione degli arredi non è esattamente come l’aveva lasciata Claude, qualcosa è stato cambiato, ma mantenendo lo spirito originario. D’altronde anche a Claude piaceva reinventare le sue case».
Le stanze traboccano di mobili e oggetti che raccontano le passioni di Nobs: la musica, ovviamente, ha un posto d’onore. Ci sono le chitarre di B.B. King, Carlos Santana, Nile Rodgers, John MacLaughlin e il piano di Freddie Mercury. E poi, accanto ai jukebox, alle collezioni infinite di vinili, ai manifesti d’epoca del Montreux Jazz Festival, le opere d’arte realizzate da famosi musicisti (Miles Davis e Ron Wood, giusto per citarne due a caso) e i quadri che rendono omaggio ai grandi del pentagramma, come l’interpretazione in chiave Golden Age olandese dei Rolling Stones, a firma Jesus Diaz de Vivar. Musica ma anche vintage, molto vintage,
negli chalet. Ci sono le lampade in pasta di vetro, il biliardo che fa molto gentlemen’s club inglese, e le collezioni di trenini elettrici, che coprono un’intera parete, raccontando diverse sfaccettature dei gusti eclettici di Nobs, l’uomo che fece diventare il Montreux Jazz Festival un evento di portata mondiale. È lui, “Funky Claude”, che portò nella cittadina svizzera tutti i più grandi. Cominciò con Charles Lloyd, Keith Jarrett e Jack DeJohnette. Seguirono poi altri nomi di primissimo piano, a comporre un elenco sterminato, che comprende, tra gli altri, B.B. King, i Led Zeppelin, i Pink Floyd, Santana, Weather Report, Eric Clapton, Dizzy Gillespie, Chuck Berry, Chick Corea, gli Status Quo e Zucchero. In più di mezzo secolo a Montreux è andata in scena la storia della musica, e non solo quella jazz, dato che progressivamente l’offerta si è ampliata. Una storia straordinaria, custodita negli archivi della collezione audiovisiva del Montreux Jazz Festival, organizzata nel bunker dello chalet Le Picotin con il suo partner Thierry Amsallem, oggi presidente della Claude Nobs Foundation. Un archivio che «è la più importante testimonianza della storia della musica, visto che copre jazz, blues e rock». Parola di Quincy Jones. Un archivio ingente, che comprende 14mila nastri magnetici, 600 metri di scaffali, 14.500 terabyte di file digitali, a raccontare un evento straordinario. I numeri del Festival parlano da soli: 53 edizioni, 30mila musicisti che si sono esibiti, cinque milioni di spettatori, mezzo miliardo di streaming, 11mila ore di video e seimila ore di
audio. La collezione ripartita ordinatamente nel bunker ha un valore storico e documentario eccezionale.
Come spiega Simon Lepêtre: «Claude ha sempre avuto una grande passione per la tecnologia e volle che i concerti del Festival fossero registrati con gli strumenti più sofisticati. Poi ha fatto in modo che tutti i materiali fossero salvaguardati». Un’eredità culturale enorme, apprezzata in tutto il mondo e inscritta dal 2013 nel Registro della Memoria del Mondo dell’Unesco. L’ennesima conferma del valore e della statura culturale di Claude Nobs, il cui nome vive per sempre nel Festival, negli chalet, nell’archivio, e in una strofa indimenticabile di una canzone senza tempo.