LA CASA RACCONTA
Oggetti da Wunderkammer, design d’autore, opere d’arte delineano la PERSONALITÀ eclettica ed esuberante di un appartamento milanese da leggere come un romanzo.
Collezioni d’arte, libri antichi e oggetti di design in un eclettico appartamento di MILANO.
A SINISTRA: IL SOGGIORNO. IN PRIMO PIANO, UN DIPINTO DI FRANCESCO CAIRO RAFFIGURANTE CLEOPATRA SOVRASTA UN MOBILE DELL’ATELIER DI GIO PONTI SU CUI SONO ESPOSTI VARI NATURALIA E MIRABILIA, TRA CUI UN CRANIO DI ALLIGATORE E DENTI DI PESCE SEGA DELL’800. LA SEDIA ACCANTO ALLA CREDENZA È GINA DI JACOPO FOGGINI PER EDRA. SUL FONDO, UN TAVOLO DI ISPIRAZIONE ORIENTALE. POLTRONE E DIVANO ANNI ’50. SUGLI SCAFFALI, BUSTI E TERRECOTTE DEL ’900. SULLA DESTRA IN PRIMO PIANO, UNA SCULTURA DI HELIDON XHIXHA. PAVIMENTO IN DOGHE DI ROVERE GRIGIO ANTICATO. IL CANE È GENNY, MASCOTTE DELLA FAMIGLIA.
Una casa compendio di mille interessi, accumulo di semantiche culturali, di estetiche e collezionismo. Libera e sfaccettata come un caleidoscopio, quasi anarchica per concetto. Un diario delle molteplici passioni dei proprietari che rappresenta una visione diversa dell’abitare, imperniata sulla metamorfosi e su una continua ricerca e dialogo con oggetti rari e bizzarri e opere d’arte d’ogni epoca, reperiti lungo un itinerario filologico, ma spesso frutto di una folgorazione subitanea quanto irresistibile. È un vasto appartamento milanese disposto su due piani, invaso da una piena luminosità in tutte le ore del giorno e affacciato su un grande terrazzo traboccante di verde, che occupa l’attico e superattico di un edificio residenziale anni ’60. «La cosa più straordinaria», racconta la padrona di casa, Maria Teresa Palmisano, «è che qui ci sono certi tramonti, specie d’estate e nel primo autunno, che sembrano incendiare di
rosso ogni ambiente. Una gamma di rossi esagerati, indiani e cinematografici. Un misto di porpora, di arancio e d’oro, come non esiste nemmeno nella mia terra di Puglia e che riesce invariabilmente ad emozionarmi».
La casa è stata realizzata in due tappe, cominciando dodici anni fa, da MP Studio Architecture & Design di cui la signora è titolare con il marito, ed è tagliata sui desideri, sul gusto e le attese di chi ci vive. La struttura e la spazialità – definite dal consorte della proprietaria, che è architetto – sono state pensate in maniera fluida e molto mossa, spalancando il volume edilizio sul panorama delle Alpi, che quasi annichilisce la morfologia della città. Sono lì davanti, le Pennine, in un carosello continuo di vette che nelle giornate più limpide pare proprio di poter toccare. Vi spicca il Monte Rosa, massiccio scolpito da una cangiante dinamica di luce e di ombra. La griglia compositiva della residenza, che ricalca una trama urbana con piazze, vie e slarghi, è ariosa e poco invasiva. Alle pareti, contenitori di ogni genere si celano dietro boiserie a bugnato ispirati alle facciate dei palazzi ottocenteschi milanesi. Alloggiano
armadi e cassettiere, guardaroba e scarpiere, dispense e depositi appositamente creati per la massa crescente delle collezioni, formate nel corso di decenni. Sono quinte che si snodano sotto le scale e nei passaggi di servizio, che formano setti articolati da librerie e nicchie, unificate da un tono cromatico distillato, il “grigio Milano”, scelto per la sua leggerezza neutra e discreta. Nella biblioteca, con la cucina un po’ il fulcro della casa, sono custoditi centinaia di volumi dedicati al tema del viaggio, risalenti al Sette e all’Ottocento, con digressioni fino al debutto del XX secolo. Ranghi di dorsi di pelle avana, tabacco e verde cupo, costole di marocchino rosso con impressioni dorate, album e carnet scanditi da immagini suggestive che narrano di spedizioni esotiche e d’avventure in lontani e favolosi Paesi d’Africa, d’America e d’Asia. «Mi piace restaurarli personalmente», confida il proprietario, «sia a livello cartaceo che nelle legature talvolta preziose e consunte dal tempo. È un hobby che coltivo da sempre e che mi ha regalato scoperte e soddisfazioni». Intanto, sorridendo tira fuori da un cassetto segreto una serie di incisioni degli inizi del XIX secolo che
Nella sala della biblioteca tutto ruota intorno al divano Pack disegnato da Francesco Binfaré. Gli scaffali accolgono una COLLEZIONE di libri antichi di geografia, antropologia e viaggi.
raffigurano sortilegi medianici, trucchi e magie da illusionista. «Ho raccolto di tutto, inseguendo una personale Wunderkammer che rispecchia il mio carattere eclettico e i miei numerosi interessi e curiosità. Non mi sono mai posto limiti, miscelando secondo l’estro del momento reperti preziosi a trouvailles kitsch, esplorando materie e ambiti stilistici. Più che una casa questo è un cabinet de curiosité dove si nascondono allegorie ed arcani, che, secondo la regola antica, comprende naturalia, artificialia e mirabilia». Un’insegna vintage di McDonald’s colloquia con il mélo pittorico seicentesco di una Cleopatra di Francesco Cairo. Gli oggetti si addensano a ondate, raggruppati per tematiche e affinità di stile o narrativa. Coralli rossi e neri, lingam, pietre dure e denti di narvalo, Beethoven e Wagner serializzati, decine di Tour Eiffel e Arc de Triomphe in zama organizzati come eserciti in marcia, vanitas barocche e surreali conversazioni di Lenin in ogni posa, atteggiamento e misura. Poi, teschi e memento mori, ritratti di varie epoche, arredi déco in vetro églomisé e inciso, le poltroncine in policarbonato Ella e Gina di Jacopo Foggini per Edra e le iconiche Vermelha
Chair dei Fratelli Campana. C’è una selva di calvari e crocifissi poveri o preziosi, le ceramiche suprematiste si confrontano con il classicismo pontiano in bianco e oro, con evocativi souvenir del Grand Tour. La maggioranza dei tessuti appartiene alle collezione di Dedar, le tende a righe e vichy in seta sono di Jim Thompson. ll filo conduttore di questo cosmo caotico e vibrante è la scultura, soprattutto teste e busti in marmo, terracotta, gesso e bronzo dagli anni ’30 ai ’50. In sala da pranzo, il tavolo tardi ’50 di Claude Dalle – chi non ricorda SAS Malko Linge, nei romanzi di Gérard de Villiers? –, poggia su finte zanne d’elefante che simulano perfettamente l’avorio di quelle vere. Sullo sfondo, due dipinti materici di Mario Arlati rosso cremisi, che contrastano con una testa di Mitoraj in vetro blu. Il regno della padrona di casa, Maria Teresa, personalità affascinante e diretta fino alla provocazione, è sicuramente la cucina. Adora
la convivialità e ha sempre amici intorno alla tavola. «La mia enclave personale», sottolinea, «è il terrazzo, dove ho dato vita a un orto con verdure ed erbe officinali e ho messo a dimora piante di matrice mediterranea legate in particolare alla Puglia, la regione in cui sono nata e in cui trascorro almeno due mesi l’anno. Tre cipressi – un albero che mi è sempre piaciuto per il suo elegante slancio verticale –, rappresentano la mia famiglia, mio marito, mio figlio e io. Ho il pollice verde, riesco a far crescere qualsiasi cosa. Qui mi rigenero nel contatto con la natura che ho ricreato in questo recinto limitato, mi godo l’aria e il cielo, da sola o in compagnia. Ho una sterminata collezione di scarpe, sono i miei feticci, mi diverto a catalogarle e a giocarci. Mio marito mi prende in giro, dicendo che sono una specie di Imelda Marcos. Quindi, le mie Barbie vintage, tutte in abito da sera, di cui alcuni esemplari risalgono agli anni ’60. Da un anno, con un’amica, abbiamo varato un progetto a cavallo tra moda e design, che sta avendo un buon successo e che si chiama Emmendemm. Si
tratta di bracciali in acciaio, cristalli Swarovski e pelle laminata, che realizziamo a uno a uno interamente a mano. Partiamo dalla migliore pelle di design, quello che rimane dalle lavorazioni di Edra e Baxter, per esempio. Facciamo tutto noi, dal taglio iniziale e cucitura delle pelli all’assemblaggio delle componenti, fino alla confezione in un box di plexiglas. Forse quello che vorrei adesso», conclude la padrona di casa, «è proprio un laboratorio interamente per me, nel quale tenere tutto il materiale e gli attrezzi che utilizzo, ma anche trapani e altri utensili. Mi sento un po’ un maschiaccio, lavorare con le mani per me è un’esigenza, una sorta di vocazione che mi accompagna fin dall’infanzia».