L’uomo dai mille volti
Al MAXXI di Roma va in scena una grande rassegna dedicata a GIO PONTI , maestro e grande protagonista della cultura del progetto del XX secolo anche a livello internazionale. Un vulcano di idee animato da una inestinguibile curiosità, capace di eccellere
Gio Ponti (1891-1979) era un protagonista della scena professionale milanese già sul finire degli anni ’20. Consapevole della nuova aria che tirava nell’architettura europea, di questa svolta in atto fornì una versione moderata: senza cioè le nette prese di posizione di Terragni o di Pagano. Questo suo stile – parola usata per la prima volta da Persico nel ’34 – gli consentì di affermarsi come uno dei garanti del “nuovo” senza per questo turbare gli ambienti tradizionalisti che dominavano l’accademia e la professione. Una posizione che gli permise di intrattenere rapporti di amicizia con Ugo Ojetti e di scrivere per il Corriere della Sera dal 1930 fino al 1963. Le sue prime esperienze privilegiano la tradizione del neoclassico lombardo, con le eleganti porcellane per Richard Ginori e ville per facoltosi clienti. Col tempo la sua voce si fa più sicura. Ponti sperimenta una composizione articolata, capace di dare risposta al tema della casa borghese e a quello dell’ufficio,
essenziale nella capitale industriale d’Italia. La casa di via Domenichino (1928) è trattata a colori vivaci e si risolve nel tetto con una sorta di pagoda: inizio di una ricerca di sicura qualità professionale. Ponti fu pittore, architetto, designer, uomo d’editoria, scrittore, ormai non si contano esposizioni e monografie: ultimo il profilo al MAXXI di Roma con la ricca mostra (fino al 13 aprile) “Gio Ponti. Amare l’architettura” a cura di Maristella Casciato e Fulvio Irace – noto biografo del nostro –, accompagnata da un adeguato catalogo Forma. Un grande professionista per tutta la sua lunga, fortunatissima carriera ma cosa diversa da un “genio”, voce dal sen fuggita a un suo fan. Nei palazzi Montecatini si esprime al meglio sul tema dell’ufficio: la ristrettezza del lotto non gli impedisce di dare un’articolazione propriamente urbana al complesso, che ha la possanza di una fortezza del capitalismo milanese: è l’attitudine a mediare il nuovo con la città preesistente. Negli anni difficili a cavallo della guerra Ponti fu costretto a guardarsi allo specchio e vedere che molti dei suoi “antagonisti”, in primis Pagano e Terragni, avevano seguito un altro itinerario e avevano pagato con la vita il prezzo delle loro scelte. Il grattacielo Pirelli (con Fornaroli Rosselli, Valtolina e Nervi) è in alternativa alla torre Velasca dei BPPR, e porta impresso il segno del suo stile: al pari di un coltello, o di un qualsivoglia oggetto da lui disegnato. Tra i suoi progetti del dopoguerra spicca la straordinaria sedia Superleggera (Cassina), che
diverrà una bandiera del design italiano. Infine l’uomo d’editoria:
certo quello di Domus, ma ancor più, per originalità, di Stile che, nata 1941 per «far cogliere le parentele fra le moltissime cose che sono espressione, ornamento o strumento della nostra vita e della nostra incantevole casa», si chiude nel ’47, quando Ponti torna a
dirigere Domus. Gio Ponti quasi mai trasgredì la regola che si era dato, qualificarlo “irrazionalista” (Celant) mi lascia perplesso: talvolta non resse la scala dell’intervento come accade nella cattedrale di Taranto e in complessi che appartengono al suo fin troppo operoso tramonto: strade senza uscita dal labirinto. FINE
Ingegno Montecatini 1951. «La storia poliedrico. (1936, della a architettura sinistra) 1. Milano, e il il secondo primo moderna palazzo del deve essere riconoscente in modo particolare agli industriali», scrisse Giuseppe Pagano sull’opera. 2. Scenografie e costumi per Pulcinella di Igor Stravinsky al Teatro dell’Arte della Triennale, 1939. 3. Gio Ponti con la moglie Giulia e una delle figlie nella casa di via Dezza, Milano, da lui progettata. Anni ’50. 4. Il grattacielo Pirelli, 1960. 5. L’allestimento della mostra al MAXXI di Roma.
«MI ENTUSIASMA LA PERFETTA E TOTALE SIMULTANEITÀ DELL’ARTE ANTICA E MODERNA». GIO PONTI