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NADIA TERRANOVA

- DI NADIA TERRANOVA

Messinese, vive e scrive a Roma in un appartamen­to piccolissi­mo ma torna sullo Stretto ogni volta che può, e il posto in cui si sente davvero a casa è il traghetto. Ama le librerie dell’usato, la gentilezza e certe giornate d’inverno piene di luce ma con l’aria pungente. Ha pubblicato con Einaudi, tradotta in oltre venti Paesi, Gli anni al contrario (vincitore, tra l’altro, del premio Bagutta opera prima) e Addio fantasmi (premio Alassio Centolibri, finalista Strega), e molti libri per ragazzi; scrive per la radio, il teatro, i giornali.

Tutte le peggiori famiglie possono vantare un’eccellenza guadagnata sul campo: la mia, per esempio, è medaglia d’oro nel certamente “Niente Tredici a Tavola”. Come per tutti i pericoli, il primo problema è la sottovalut­azione del problema stesso: aggiungi un commensale oppure togline un altro, facile, no?

È allora che il venerabile maestro sorride di tanta ingenuità, prende il gesso, si avvicina alla lavagna e comincia a spiegare matematica partendo dalle tabelline. Se togli lo zio non verrà neanche la moglie e si infilerà quell’altra cugina, che prima non potevi invitare perché ha litigato con gli zii, così arriviamo a dodici, ma lei ha appena conosciuto un tipo e vuoi che per il trionfale ritorno non se lo porti dietro? Tredici meno due più due fa sempre tredici. Tieni gli zii, che poi fra l’altro avevano pure ragione, però aggiungi la cugina col nuovo fidanzato – tutto risolto, rischiamo che fra gli ex litiganti esploda il terzo conflitto mondiale ma, se saremo quindici e compatti, nulla di terribile potrà davvero accadere. Finché non arriva qualcuno a dare il triste annuncio: niente, ho sentito la cugina, si è già lasciata. Poco male, quattordic­i, avevamo fatto bene ad abbondare. Aspetta, ha chiamato il cognato, una delle gemelle ha una festa di laurea, lascia stare la cugina, ma come le hai già telefonato?

Il venerabile maestro, tracciando e cancelland­o insiemi e sottoinsie­mi con il gesso bianco e la spugna nera, spiega che per ogni famiglia che organizza un pranzo ci sono l’addetto alla cucina, l’addetto al vino, l’addetto ai regali (anzi a quella parola gnegnè, i pensierini), e poi c’è l’addetto alle relazioni internazio­nali: il problema è che, mentre le altre mansioni sono distinte e inequivoca­bili, dell’ultima sentono di doversi impicciare tutti, ciascuno superstizi­oso a modo suo, e i più superstizi­osi di tutti sono quelli che ostentano scetticism­o, laicismo, superiorit­à. La messaggist­ica divampa quando uno degli adolescent­i di casa, per il puro gusto di provocare, propone un gruppo dedicato alla risoluzion­e diplomatic­a, sia chiaro: composto da tredici membri. È allora che nessuno ride e uno, immancabil­mente, salta su: va bene, ho capito, non vengo io e vi risolvo il problema (tutti, una volta nella vita, abbiamo diritto a metterci al centro di questa precisa scena madre). È allora che la famiglia deve tenere i nervi saldi e andarsi a ripigliare chi si è offeso, non perché si sia offeso, ma perché il suo passo indietro è pernicioso per l’entropia e per i misteriosi movimenti di quei numeri in colonna. Raggiunger­e i quattordic­i è di nuovo un’attività a rischio, la deriva melò dell’autoesclus­o non sarà tollerata e lui ricondotto alla ragione.

Mentre il venerabile sadico osserva i principian­ti del “Niente Tredici” curvi sui quaderni a risolvere equazioni di secondo grado, la qui presente se la ride, ché non siamo medaglia d’oro per nulla: mi sto già accorciand­o le gambe su misura, nemmeno fossi Pinocchio. Più in là, sempre in sala da pranzo, a pochi metri dal tavolo principale, ce ne sarà un altro contornato da piccoli sgabelli: è il tavolo della libertà, delle patatine fritte e del sugo sulla tovaglia. Quando tutti i calcoli saranno falliti e l’ultimo citofono annuncerà l’arrivo del tredicesim­o commensale, il tavolo dei bambini ci verrà in aiuto e ci scomporrem­o in otto più cinque, anzi in sette più sei, perché io ai bambini ho già fatto domanda di asilo politico e, mentre i grandi faranno tintinnare le posate guardandos­i in cagnesco ciascuno sospettand­o l’altro di essere il colpevole di quell’eccedente numerico, almeno lì ci si potrà godere il pranzo.

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