I LABORATORI DELL’ISPIRAZIONE
Con un progetto durato quasi dieci anni, che oggi diventa un libro, un fotografo italiano ha ritratto i luoghi dove l’arte prende forma
Quelli degli artisti Cecily Brown, Dana Schutz e Banks Violette sono studi caotici, vissuti e sporchi, dove strumenti e materiali tradiscono ovunque un modo di lavorare legato a una fisicità viscerale. Quello di Marina Abramović è un luogo simbolico, perché da tempo per l’artista è il proprio corpo a essere diventato spazio di lavoro, in un continuo ridisegnare il confine tra pubblico e privato. Matthew Barney, Urs Fischer e Julie Mehretu hanno factory in cui decine di collaboratori lavorano senza sosta. Mentre Rirkrit Tiravanija concepisce le sue opere in una stanza nell’East Village, seduto su una poltrona, circondato dai libri e dalla musica.
Lo studio dell’artista occupa un posto particolare nell’immaginario comune: insieme laboratorio, ufficio, spazio pedagogico e museale, magazzino e show room, la sua identità si definisce in opposizione al mondo esterno. Perlomeno a partire dal XV secolo, quando questo luogo appartato, epicentro di creazione, comincia a fare la sua comparsa nelle tele di molti pittori. In tempi recenti lo stesso interesse lo hanno avuto fotografi che ne hanno fatto oggetto di reportage, al tempo stesso ammiratori, voyeur e complici discreti del mito dell’artista. E che col loro sguardo sono diventati un tramite tra la sua figura e il pubblico dei curiosi.