DELLA SERIE NON SI BUTTA VIA NIENTE
Di Mattia Nicoletti
Quest’anno, quando la fisica saluta il primo secolo della teoria della relatività, è in programma la soluzione del maggior mistero spaziotemporale. Sarebbe il degno coronamento di un tempo che vedrà il primo cartello pubblicitario sulla Luna, la prima città post petrolio e il primo ospedale per i pesci. Insieme ad altre novità che trovate voltando pagina
el’anno della relatività, il centenario del momento fatidico in cui Albert Einstein scrisse e illustrò la formula della moderna teoria della gravità che descrive il movimento di tutti gli oggetti di grandi dimensioni, come stelle, pianeti e galassie. Isaac Newton l’aveva già descritta come forza di attrazione istantanea e invisibile tra due oggetti, così come la sperimentiamo tutti i giorni. Ma le sue leggi del moto della gravitazione universale si rivelano inesatte quando si tratta di oggetti giganteschi. Einstein si rese conto che lo spazio e il tempo si deformano in prossimità di stelle, pianeti, galassie, oppure quando un corpo si muove a una velocità comparabile a quella della luce. Allora lo spazio si accorcia e il tempo rallenta in distorsioni legate nella realtà - perdonate la ripetizione - chiamata spaziotempo che si comporta come un telo elastico e modifica la sua forma nei pressi di corpi molto massicci. Non solo. Se la massa di un corpo supera una certa soglia, lo spaziotempo si chiude su se stesso, diventando una trappola senza luce, ed ecco i buchi neri. Credevo che fossero uno dei grandi misteri dell’universo, ma il fisico teorico Carlo Rovelli dice che, invece, con loro abbiamo ormai moltissima confidenza: «Gli
astrofisici ne parlano come i cowboy fanno delle loro mucche. Ne osserviamo moltissimi, sappiamo che cosa succede intorno, ma non al centro. Perché quanto viene inghiottito scompare? Dove va a finire?». Rovelli è affacciato da anni proprio sul baratro di questo mistero. È uno degli iniziatori della “gravità quantistica a loop”, una delle principali ipotesi teoriche per unire la teoria di Einstein e la meccanica quantistica. Insegna Fisica teorica all’Università di Marsiglia, e dirige il gruppo di ricerca in Gravità quantistica del Centro di Fisica teorica di Luminy. È impegnato anche nella divulgazione delle questioni aperte sull’architettura del cosmo. Il suo ultimo libro, Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi), conduce il lettore al centro dell’universo in meno di 100 pagine illuminanti e poetiche. Gli chiedo che cosa possiamo aspettarci dalla fisica teorica nel 2015: «Nel gruppo di ricerca, con colleghi di Nimega nei Paesi Bassi e di Grenoble in Francia, abbiamo un’ipotesi semplice e plausibile. Pensiamo che la materia rallenti e si fermi prima di arrivare al centro. Quando è concentratissima, si sviluppa un fenomeno quantistico, ovvero una pressione fortissima che le impedisce di collassare. Secondo noi la materia smette di cadere e forma una specie di stella, piccolissima e densissima, che viene chiamata stella di Planck. Per capirci meglio, la materia cade nel buco, rimbalza come una palla sul pavimento e poi esce».
mIl tempo non passa dappertutto alla stessa velocità, anzi rallenta quando
si è più in basso, dove la gravità è più intensa. Così gli orologi, come tutti i fenomeni fisici, in pianura vanno più lenti che in montagna
a se vedete la materia cadere nei buchi neri, perché non l’avete mai vista rimbalzare fuori? Rovelli sorride come se un’intera orchestra sinfonica avesse preso a suonare, un sorriso di pura gioia: «Magari la vedremo nel 2015. Perché la risposta, che mi sembra bellissima, potrebbe essere nella relatività: il tempo non passa dappertutto alla stessa velocità, anzi rallenta se mi trovo più in basso, dove la gravità è più intensa. Gli orologi, come tutti i fenomeni fisici, vanno più lenti in pianura piuttosto che in montagna. Se sono su una cima e guardo un orologio giù a valle, vedo le ore scorrere più lentamente rispetto alla mia posizione. Dentro un buco nero la gravità è fortissima, e il rallentamento è feroce. Il rimbalzo della materia che cade avviene velocemente, visto da chi è lì vicino».
Se vi state chiedendo se c’è qualcuno che sta accanto a un buco nero, la risposta è: «No, tranne che in Interstellar di Christopher Nolan, ma quello è un film. Noi, invece, guardiamo tutto da fuori, rallentato enormemente. Le cose spariscono, e svaniscono dalla nostra vista per un tempo estremamente lungo. Tutto sembra congelato per milioni di anni: come i buchi neri che osserviamo nel cielo. Ma un tempo anche lunghissimo non è infinito, noi crediamo che dopo l’attesa necessaria assisteremo all’uscita della materia. In pratica un tempo brevissimo per la materia, ma lunghissimo per noi». Questo è meraviglioso, ma quali cambiamenti porterà la fisica teorica nelle nostre vite, nell’immediato futuro? «Che domanda!», dice Rovelli e racconta che Michael Faraday, grande studioso inglese dell’elettromagnetismo alla base del funzionamento di alternatori, trasformatori, motori e generatori elettrici, era riuscito a farsi dare un finanziamento pubblico per le sue ricerche. Il ministro competente un giorno andò a trovarlo e gli chiese a che cosa mai servissero i suoi studi, e lui rispose: “Non ne ho idea, ma sono sicuro che un giorno su questa roba ci farete pagare le tasse”. Dalla teoria della relatività si sono sviluppati, per esempio, i Gps ma, ahimé, anche i missili. E quando conosceremo il centro dei buchi neri? «Non lo so», dice Rovelli. «È come se lei mi chiedesse a che cosa serve fare un bambino. Serve per andare avanti, no?».