CI VUOLE IL REHAB per cuori infranti
Se non riuscirà a fare una legge per i matrimoni stessosesso, se non riuscirà a legalizzare la marijuana, l’Italia ha una sola chance per attirare turismo di qualità e riproporsi come Paese all’avanguardia: creare una rete di rehab per accannati. Accannati non nel senso delle sigarette contenenti cannabis; accannati nell’accezione romana di qualche anno fa, cioè lasciati dal o dalla partner. Quando succede, tutti - dalle donne premi Nobel agli uomini tronisti - danno il peggio di sé. Perdono il rispetto di se stessi, si umiliano. A volte diventano pericolosi. Quasi sempre, sono patetici. Avrebbero bisogno di cambiare scenario, di passare del tempo in ambienti protetti, insomma in cui vengano protetti da loro stessi. E insomma, ci sono rehab, cliniche per disintossicarsi da droghe, alcol, sesso, benzodiazepine; servirebbero dei rehab per cuori infranti. La nostra penisola sarebbe adattissima. Offre splendide cornici per tutti i gusti. Per chi vuole singhiozzare al tramonto su una scogliera, affiancato da un robusto infermiere che gli impedisca di buttarsi di sotto. Per chi non si è mai ripreso dalla lettura de La montagna incantata di Thomas Mann e non disdegna l’idea di sprofondare nello spleen di un pomeriggio alpino fuori stagione. Per chi ha visto film in costume di Merchant e Ivory o senza costume di Bernardo Bertolucci ( Io ballo da sola, ecc.) e preferisce sbroccare nel più bel paesaggio antropizzato del mondo, le colline toscane (vanno bene pure le lievemente meno antropizzate, un po’ meno care, colline marchigiane e umbre; la cucina è più varia, poi). Per chi va confinato su un’isola altrimenti stalka l’ex; per chi, emozionandosi in una città d’arte, l’ex comincia a dimenticarlo/a. Oppure si distrae, indignandosi per le bancarelle con souvenir mostruosi e magliette di Totti, tentando di smantellarle, trascinando turisti e indigeni in una rissa, passando ore pittoresche in commissariato. Anche così si può riuscire a superare il trauma dell’abbandono. Se non si viene rinviati a giudizio è meglio, ovvio. E poi, nel rehab per accannati, che potrebbe essere una vecchia villa, un ex convento, un castello, ma anche un albergo decaduto sui nostri meravigliosi Appennini (c’è troppo costruito, in Italia; è il momento del recupero, dei cuori infranti e degli immobili), si troverebbero soltanto compagni e compagne di sventura. Non amici inizialmente solidali poi rapidamente esasperati dall’accannato/a che si dispera, parla non-stop, non vuole capire che è finita. Non ex anaffettivi oppure fintamente civili oppure presenti e compassionevoli (i/le peggiori). Non psicoterapeuti abituali ormai stufi di lagne; invece, strizzacervelli freschi e velocemente ferratissimi, dopo poco in grado di destrutturare e ricomporre i cuori infranti di cui sopra. E poi, coppie di consulenti insopportabili ma utili - tipo quelli di reality tv alla Ma come ti vesti?! - che prendono l’accannato/a ormai ridotto a vivere in pigiama, lo/la sgridano, consegnano a estetista e parrucchiere, portano a fare spese, rendono di nuovo presentabile. E soprattutto, altri disperati con cui confidarsi. E confrontarsi. Loro stessi diventerebbero la terapia migliore. Niente convince una persona abbandonata a ritrovare la propria dignità come vedere e sentire un proprio simile comportarsi e apparire come un pedalino spaiato buttato nella differenziata. Niente aiuta a ricordare di averne una (di dignità) quanto osservare abbandonati altrimenti di alto livello ridursi come il pedalino gemello di quello spaiato, dimenticato per anni in fondo a un cassetto. Niente fa bene, aiuta a sdrammatizzare, fa mettere in prospettiva una rottura come una serata in cui si eccede tra cibo e vino (i rehab per accannati italiani potrebbero contare su grandi piatti del territorio e vitigni di qualità) e si finisce a ridere dei propri guai. (Questa rubrica non è satirica. È serissima. Una settimana o due in un rehab del genere farebbe bene o avrebbe fatto bene a tutte/i noi, prima o poi. Creare un rehab del genere sarebbe un eccellente investimento, anche).