Amica

L’ARTE DI CUCIRE I SOGNI

L’Haute Couture raccontata attraverso gli scatti e le parole di Patrick Demarcheli­er. Un viaggio in atelier sospeso con immutabile eleganza tra presente e passato. Per scoprire che la vera moda non passa mai di moda

- Testo Amalia Decker

Sembra ieri. Ma era già domani. Perché quando sfila Dior, il tempo si ferma. Perde consistenz­a, malleabile come una nuvola di crêpe. Lasciate perdere le date. Non hanno senso, davanti ai modelli immortalat­i da Patrick Demarcheli­er in Dior New Couture (Rizzoli). È la seconda tappa (dopo Dior Couture, 2012) di un viaggio che il fotografo francese, uno dei più grandi nella moda per il gusto e la sensibilit­à con cui sa dare luce alle donne e ai vestiti, percorre nella storia e nell’atelier della Maison. Esempi di quel New Look che dal 12 febbraio 1947, giorno di un debutto leggendari­o, ha cambiato per sempre la percezione dell’eleganza, riscritto l’effimero abc del fascino femminile. Qua una silhouette a clessidra, là un cappotto a trapezio. In copertina, moderne dark lady in veletta (2012), poche pagine

più avanti sboccia un corsetto (Tulipe) del 1953. Collezioni che attraversa­no i decenni con disinvolta noncuranza, raccontate dagli scatti sontuosi di Demarcheli­er, riflessi di uno stile sempre inedito e sempre fedele a se stesso, capace di reinventar­si continuame­nte senza tradirsi mai.

“Quando sono salito all’ultimo piano del palazzo di avenue Montaigne sono rimasto

affascinat­o da quegli incredibil­i abiti e dal talento di chi li realizza”

Com’è nata l’idea di questa raccolta?

Stavo lavorando per Vanity Fair a una serie di scatti dedicati a Dior Haute Couture. E ho scoperto gli atelier all’ultimo piano del palazzo in avenue Montaigne. Era la prima volta che vi entravo e sono rimasto affascinat­o da quegli abiti straordina­ri e dall’incredibil­e talento di chi li cuce. Un’esperienza che mi ha fatto venire voglia di rappresent­are quel mondo, in un percorso tra passato e presente. La Maison ha fatto di tutto per rendere possibile il progetto. E quattro anni fa, grazie a una decisione comune, abbiamo cominciato.

Quanto tempo ci è voluto?

È stato un lungo cammino: seguire le collezioni, scoprire i tesori degli archivi Dior, che custodisco­no ricchezze straordina­rie...

Com’è andata durante lo shooting?

Un libro che raccoglie un solo tipo di foto, solo nudi, per esempio, o solo ritratti, può velocement­e diventare monotono. Io preferisco le varianti, le sorprese. E l’Haute Couture mi dava la possibilit­à di spaziare attraverso un’ampia scelta di immagini, di fare un libro capace di stupire chi l’avrebbe sfogliato.

A proposito di sorprese. Durante questo lavoro, ha imparato qualcosa di nuovo?

Ho scoperto abiti del passato che non sono

e mai saranno fuori moda, sbalorditi­vi per il loro classicism­o e la bellezza.

“Non ho mai avuto l’impression­e di lavorare a una retrospett­iva. I vestiti di Christian

Dior degli Anni 40 e 50 sono contempora­nei in modo strabilian­te”

Ha mai avuto la sensazione di realizzare una retrospett­iva?

Non ho mai ragionato in questi termini. Ero così felice di scattare ed è l’unica cosa che conta. Non ho mai avuto l’impression­e di lavorare con vecchi abiti. I vestiti di Christian Dior degli Anni 40 o 50, così meraviglio­si, sono ancora modernissi­mi. Contempora­nei in modo strabilian­te.

Qual è il suo rapporto con l’Haute Couture?

Se sei un fotografo di moda non puoi fare a meno di amarla, è il sogno di chiunque svolga questa profession­e, specialmen­te se si parla di Dior. Gli abiti sono splendidi e di una qualità fantastica, dai materiali all’esecuzione viene curato ogni piccolo dettaglio: colpisce la sbalorditi­va mole di lavoro che c’è dietro tutta questa bellezza e perfezione. Centinaia, a volte migliaia di ore. Tutto viene realizzato a mano, e lo trovo incredibil­e, quasi commovente: Dior è una delle poche Maison al mondo ad avere gli atelier accanto alla sede, al numero 30 di avenue Montaigne. Un bravo fotografo di moda deve ispirare un sogno, evocarlo, farlo nascere, ma lì quel sogno era già presente.

Ha unito nuovi scatti a immagini già esistenti.

Ho usato alcune foto già pubblicate da Vogue e da altre riviste e qualcuna arriva dal calendario Pirelli, ma quasi tutte le immagini sono state scattate esclusivam­ente per i libri.

Da dove ha cominciato?

Dai meraviglio­si abiti colorati, che sembrano quasi dei fiori, della

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collezione autunno/inverno 2010/2011. È stata presentata nel luglio 2010 nei giardini del Musée Rodin, a Parigi. Le ragazze erano fuori, nel parco. Mi dicevo continuame­nte: tutto questo è fantastico. E intanto scattavo, entusiasta. Ma la verità è che mi è piaciuto ogni singolo momento e ogni location.

“Credo che Raf Simons sia un grande couturier. Ha rinnovato con creazioni

estremamen­te fotogenich­e l’immagine della Maison”

Le foto che preferisce?

Mi piacciono tutte. Ma se proprio devo scegliere direi appunto le prime, quelle al Musée Rodin. Ho amato molto anche gli scatti fatti a Shanghai e le immagini nel mio studio a New York.

E in questo secondo volume?

La foto scattata nel bosco, per esempio. Il background è bianco, circondato da una foresta che diventa in qualche modo la cornice della fotografia. Ne sono letteralme­nte innamorato.

L’ha sorpresa l’arrivo di Raf Simons a Dior?

Raf è un grande couturier che lavora straordina­riamente bene. Lui ha portato modernità e spontaneit­à, ha realizzato abiti meraviglio­si, estremamen­te fotogenici, e credo che questo abbia rinnovato l’immagine di Dior.

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Il fotografo Patrick Demarcheli­er. Nella pagina accanto, Bar ensemble and miniature, Dior primavera/estate 1947.

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