Amica

Regina di fiori

- di Stefano Montefiori

un’italiana insegna ai francesi l’arte dei giardini. Complice del suo successo, un sogno di bambina, la corte di Maria antonietta. Così, mentre lavora nella reggia più famosa al mondo tra aule, parchi e fontane, ci confessa un obiettivo ambizioso: “Conquistar­e gli spazi verdi di parigi”

“Non mi considero un cervello IN FUGA. In Italia STAVO BENE, ma sentivo che il mio destino ERA A Versailles"

C’è Chi, da bambino, sogna di diventare astronauta, o prima ballerina della Scala. Chiara Santini, invece, sognava la corte di Maria Antonietta, fantastica­va sul palazzo reale di Versailles e su Parigi. «A otto anni leggevo libri sulla storia di Francia, all’esame di quinta elementare feci un monologo sulla Palude durante la Rivoluzion­e. La maestra e le compagne mi guardavano stranite». Era l’inizio di una grande passione e Chiara ne parla con la soddisfazi­one di chi, crescendo, non è stata costretta a ridurre le ambizioni. Non è diventata Maria Antonietta ma i colleghi a Versailles la chiamano “Madame delle Collezioni” perché, di recente, è stata nominata anche responsabi­le del patrimonio storico dell’arte dei giardini della Scuola nazionale superiore del paesaggio, dove da anni insegna Histoire des jardins. Un’italiana che spiega ai francesi, nel cuore della storia di Francia, l’arte portata all’eccellenza da André Le Nôtre, è un exploit simile a quello di chi sogna di diventare astronauta e poi ci riesce davvero. E lei se ne rende conto. Le persone che amano la vita e ne sono corrispost­e hanno una luce speciale, lei è diventata più parigina dei parigini ma una caratteris­tica (per fortuna) le sfugge: non è blasé, non ostenta distacco, noncuranza, abitudine alle gioie dell’esistenza. Ha sem- pre sognato di vivere a Parigi, ci abita da una ventina d’anni e ancora quasi non ci può credere. Chiara Santini, nata 44 anni fa a Cesena, è una storica che ormai Francia e Italia si contendono. Il ministro dei Beni culturali Dario Franceschi­ni a fine 2016 l’ha chiamata a far parte del consiglio di amministra­zione dell’Istituto autonomo Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli, ovvero «i giardini più belli del mondo», dice lei, e qui «si devono essere convinti che l’Italia voglia riprenderm­i» e continuano a premiare il suo lavoro. Ma lei parla di Parigi con lo sguardo di chi è stata una studentess­a Erasmus, e ne è ancora innamorata. Maturità classica con 60, laurea in Storia moderna a Bologna con tesi sui giardini di Versailles e 110 e lode. «La mia famiglia ha sempre tenuto tanto al fatto che io e mia sorella studiassim­o come si deve». Esperienza Erasmus, ovviamente alla Sorbona. Dottorato di ricerca tra Bologna e Parigi e corsi all’École normale supérieure in rue d’Ulm. «Poi ho scritto una lettera all’École national supérieure de paysage di Versailles e mi hanno preso», racconta. A Parigi abita da sempre nel quartiere della rue Mouffetard. Non poteva che lavorare a Versailles, non poteva che vivere a Mouffetard. «Non sei tu che scegli il quartiere, è il quartiere che sceglie te», dice. «Quando sono arrivata qui ho passato la prima settimana a cercare casa, come tutti, in un ufficio del Cts (Centro turistico studentesc­o) in rue des Carmes, e mi sono detta: “Come mi piacerebbe vivere qui!”. Due giorni dopo firmavo un contratto d’affitto proprio lì, al numero 11, “l’appassito vicolo in discesa” che sale al Pantheon, come lo ha chiamato Giuseppe Ungaretti, che ha abitato al numero 5. Era la mansarda di un ingegnere americano, dalla terrazza vedevamo Notre Dame. Mancavano solo gli Aristogatt­i. Mi ricordo che, i primi giorni, io e miei amici prendevamo il metrò e cambiavamo linea per fare 200 metri, non capivamo bene le distanze. Ma mi sono ambientata in fretta». Il mondo di Chiara è il V arrondisse­ment, il Quartiere latino. «In Mouffetard frequentav­o un caffè con gli amici del dottorato, quando mancavamo per due o tre giorni il barista diceva: “È un po’ che non vi vedo, siete tornati in Italia?”. Ben presto mi sono sentita una del posto, come una sedia del bistrot. Un po’ alla volta capisci che ci sono due realtà: quella dei turisti, con i suoi flussi e i suoi orari, e quella di chi abita qui. Per “qui” non si intende Parigi ma proprio Mouffetard. Ci

“L’arrivo della primavera si vede dalla FIORITURA del ciliegio del Giappone al Jardin des Plantes”

sono riti precisi. Non si indica il bistrot con il suo nome ma con quello del proprietar­io: si va “da Claude”; gli appuntamen­ti si danno “prima o dopo le poubelle”, cioè quando arriva il camion della spazzatura, di solito intorno alle 13. Poi, i turisti stanno in alto, in place de la Contrescar­pe, i “locali” più in basso, verso Gobelins. Adesso vivo in boulevard de Port-Royal, in una parte che teoricamen­te sarebbe del XIII arrondisse­ment. Ma con la compagnia dell’elettricit­à ho un po’ barato, così l’indirizzo sulla bolletta indica il V, quello del Quartiere latino», dice ridendo. Chiara Santini sta per traslocare, cerca casa con il compagno. «Ogni tanto andiamo a vedere qualche appartamen­to e, anche se è bello, mi capita di dire: “No, è troppo lontano”». Lontano da dove? «Da Mouffetard, naturalmen­te». A Versailles Chiara si divide tra le aule di lezione, i giardini, le fontane e l’orto del re, insegna a studenti ventenni che la prendono un po’ in giro per l’accento italiano - «dico loro che così stanno più attenti» - e prepara il concorso di abilitazio­ne per diventare professore ordinario con una ricerca sull’ingegnere Adolphe Alphand, «che ha una storia incredibil­e: il barone Haussmann, al quale si deve la ristruttur­azione urbanistic­a di Parigi per come la conosciamo adesso, lo chiamò per affidargli tutti i giardini e anche l’illuminazi­one pubblica della città. Quando costrinser­o Haussmann a dimettersi, Alphand rimase e si ritrovò con tutte le competenze del capo, in pratica tutto quello che c’era in superficie era affar suo. E quando morì, nel 1891, nel suo studio trovarono gli schemi preparator­i del metrò. È un argomento sul quale lavoro da dieci anni».

CHIARA non smette di sognare e le piacerebbe un giorno, come Alphand, lavorare alla direzione degli spazi verdi di Parigi, «dagli Champs-Élysées alla piccola aiuola sotto casa». Tornerebbe in Italia? «Ci vado spesso per la famiglia e per il nuovo incarico a Tivoli, capisco benissimo chi vuole tornare, ma io non mi sento un “cervello” in fuga, magari tentato dal ritorno. Sono venuta in Francia per una questione personale. Stavo bene in Italia, solo che sentivo che il mio destino era a Versailles». E la fama dei parigini scostanti? «Può darsi che sia meritata, ma la mia esperienza è diversa. Sono stata accolta in modo meraviglio­so, da subito. Faccio cose che non facevo a Bologna, tipo usare il bistrot sotto casa come una specie di ufficio postale e portineria, dove magari lasciare le borse della spesa per continuare gli acquisti. Parigi è una grande città, ma si fa vita di quartiere, con i suoi riti. La primavera, per esempio: la notizia del suo arrivo la dà il primo che, al Jardin des Plantes, nota la fioritura del ciliegio del Giappone». Che cosa dicono i familiari di questa passione? «Hanno capito che non sono voluta andare lontano per mettere una distanza tra me e loro. La famiglia di mio padre è emigrata per alcuni anni in Svizzera e in casa il francese si è sempre un po’ masticato. Quando sono arrivata qui per l’Erasmus avevo trovato un lavoretto da McDonald’s, ma mio nonno, uomo semplice e di straordina­ria eleganza, mi disse: “Ti assumo io. Ti do gli stessi soldi, e quel tempo lo passi in biblioteca, come hai sempre sognato”. Mia madre, poi, ogni tanto veniva a trovarmi e una volta mi disse: “Hai proprio ragione, a Parigi si rinasce”. Ora è rimasto mio padre, i miei amici a Versailles lo hanno adottato, quando viene gli organizzan­o delle visite private al castello e nei giardini. E lui, a Cesena, lo racconta orgoglioso ai suoi amici».

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